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Orsaria di Premariacco (UD), Febbraio 2011
 

Lavôr onest par sbarcjà il lunari

(L'articolo apparso su La vita Cattolica non poteva passare inosservato, dato che il protagonista del bel esempio di umiltà che potrebbe far scuola, è un nostro attivo collaboratore nonchè vice presidente della nostra associazione)

A 47 anni mi rimetto in gioco
16 anni nella stessa azienda, poi lo spettro della chiusura.
Per Giovanni Paoloni è stata l’occasione per scommettere sulle sue forze
(Tratto da La Vita Cattolica del 2 Febbraio 2011

          DOPO I QUARANT’ANNI «per il mondo del lavoro sei già vecchio. Eppure è proprio questa l’età migliore per un uomo. È l’età della maturità, delle scelte ponderate. L’età in cui vale la pena mettersi  in gioco». Così ha fatto Giovanni Paoloni. «La prego, mi chiami Jenco, mi conoscono tutti così», esordisce.
          47 anni, di Orsaria di Premariacco. Una bella famiglia, due figlie: Ludovica e Sjria di 16 e 11 anni. Jenco è entusiasta e (giustamente) orgoglioso di raccontarci la propria esperienza. Le parole escono veloci e sono pregne di passione.
          Per 16 anni ha lavorato nella stessa ditta, un’azienda che si occupava di Componenti d’arredo. Poi la crisi e la prospettiva della chiusura. Jenco non ha atteso che le cose volgessero al peggio.
          «Mio padre è stato artigiano per oltre 40 anni – racconta –.  In un certo senso sono un figlio d’arte. D’estate, da ragazzo, seguivo le sue orme e questo mi ha insegnato a cavarmela con tanti lavoretti». La decisione di mettersi in proprio non si è fatta attendere. Lo scorso aprile Jenco ha acquistato furgone e materiali e oggi fa l’imbianchino, con una sua impresa. «Ho cominciato con piccole cose, ma finora ho sempre lavorato e sono felicissimo di questa scelta».
          Una decisione che probabilmente non avrà preso a cuor leggero, chiediamo. «Il momento più difficile, in verità è stato quando mi sono reso conto che la ditta in cui lavoravo avrebbe potuto lasciarmi a casa da un giorno all’altro – risponde Jenco –. L’atmosfera in azienda si faceva sempre più pesante e non vedevo prospettive. Se fossi stato solo forse avrei aspettato l’evolversi gli eventi, ma sentivo dei doveri di responsabilità nei confronti di mia moglie e delle mie figlie».
          Il legame con la famiglia è stato determinante. «Fondamentale ». Jenco ci tiene a sottolinearlo. «Non mi hanno mai fatto mancare il loro sostegno né mi hanno fatto pesare la situazione di difficoltà che stavamo attraversando. Al contrario, mi hanno incoraggiato. Sono state mia moglie e le mie figlie il vero pungolo di tutto».
          L’entusiasmo con cui Jenco si racconta fa sembrare la sua scelta una passeggiata ma, naturalmente, non è stato proprio così. Però il padre, emigrante negli anni Sessanta, è stato un buon esempio: «Se questi sono tempi duri, che dire di quelli dei nostri genitori? Se ce l’hanno fatta loro, con solo le scarpe e la valigia di cartone, mi sono detto, perché non noi? Certo, c’è voluto del coraggio – ammette l’imbianchino – e di concorrenza, nel mio settore, ce n’è. Mi sono assunto il rischio d’impresa. E, alla mia età, ti devi dare da fare. Ma ciò che conta è conquistare la fiducia della gente e, alla lunga, la buona volontà viene premiata».
          Di lavoro ce n’è, dunque. «Non si diventa ricchi – commenta Paoloni – Ma, a guardare bene, ci sarà sempre qualcuno che ha più soldi e fa vacanze più belle. È questo ciò che conta?».  Che cosa conta davvero? «Io mi arrangio un po’ a fare tutto, grandi e piccoli lavoretti. Mi so anche accontentare. Ma ogni sera torno a casa felice».