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Abbazia di Rosazzo, 25 Giugno 2009

“Le statue raccontano l'abbazia: cura e incuria, storia e restauro”

Presentati all’abbazia di Rosazzo
i restauri concernenti le statue
 che adornano il perimetro dello storico edificio.

          Introdotti dal rettore dell’Abbazia mons. Remo Bigotto e dal presidente della Fondazione Abbazia di Rosazzo mons. Iginio Schiff, era presente il rappresentante della Fondazione CRUP dr. Marco Pezzetta, le restauratrici dr.a Daniela Cisilino e Luisa Fogar della ditta ARECON snc di Campoformido. 
       “Le statue raccontano l'abbazia: cura e incuria, storia e restauro” si è proposto non solo di far conoscere
l’apparato statuario dell’abbazia, ma anche di mostrare lo stato di deterioramento ed evidenziare la conseguente azione di ripristino delle sculture. Tipi deterioramento e tecniche di intervento sono stati alcuni dei temi trattati durante l’incontro.
     Ma non possiamo non chiederci: siamo di fronte a un semplice abbellimento iconografico o al cospetto di un ricercato apparato statuario in grado di svelarci particolari sfuggenti della storia?
 
     I restauri delle statue dell’abbazia, eseguiti da luglio a ottobre 2008, sono stati promossi dall’Arcidiocesi di Udine grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone e della Regione Friuli Venezia Giulia.
 

 


...la relazione delle restauratrici...

     L’Abbazia - Posta in alto sui colli di Manzano, l’abbazia di Rosazzo offre uno splendido panorama dai monti al mare, ma dominava anche dal sec. XIII le vie di comunicazione tra Cividale e Gorizia. Le sue origini sono controverse, la leggenda narra che fu fondata nel 800 d.C. da Germanico l’Eremita che nel luogo solitario costruì una cella e un oratorio attirando altri fedeli. Tra il 1068 e il 1070 fu costruita una chiesa dedicata a san Pietro e intorno al 1100 il monastero fu elevato al rango di abbazia dal patriarca di Aquileia Ulrico di Eppenstein. L’abbazia benedettina ebbe dunque stretti rapporti con i monasteri benedettini della Stiria e della Carinzia. Raggiunse il massimo splendore nel sec. XIII quando fu posta sotto il potere diretto del papato con giurisidizione spirituale e  amministrativa.
     Nel sec. XIV assunse un aspetto di fortezza con torri e mura di difesa, trovandosi al centro delle lotte tra il Patriarca Ludovico di Teck e la Repubblica di Venezia prima e di quest’ultima con gli imperatori d’Asburgo nel sec. XVI. Fu l’abate Gian Matteo Giberti, arcivescovo di Verona, a iniziare la ricostruzione dell’abbazia insieme con i collaboratori Venceslao Boiani e Francesco Berni. Nel restauro della chiesa nel 1535 fu chiamato il pittore Francesco Torbido, seguace di Giorgione che decorò l’interno con affreschi.
     Dopo l’abolizione del Patriarcato di Aquileia nel 1751, l’abbazia passò all’Arcivescovo di Udine e dopo 248 anni di servizio i Domenicani, succeduti ai Benedettini, lasciarono il monastero. Emanuele Lodi trasformò l’Abbazia in una villa, residenza estiva degli Arcivescovi di Udine, apportando significative trasformazioni. A Rosazzo soggiornarono Papa Pio X e, durante la I guerra, Vittorio Emanuele III, il Duca d’Aosta, Elena di Savoia visitarono l’ospedale da campo qui allogato. Ciò che rimane dell’antico monastero è l’ala orientale, restaurata nel 1985, le celle del livello superiore, il  chiostro cinquecentesco con i vani annessi.

 

Da Villa Manin a Rosazzo
Secondo una suggestiva ipotesi, il ciclo di statue proverrebbe da Villa Manin
e sarebbe stato un dono della famiglia o del doge di Venezia all’Arcivescovo di Udine,
nominato nel 1754 marchese di Rosazzo
(GABRIELLA BUCCO - La Vita Cattolica del 20 Giugno 2009)

     SAREBBERO STATE un regalo dei Manin o del doge di Venezia, all’Arcivescovo di Udine le sedici statue delle Virtù che dalla metà del Settecento fanno bella mostra di sé sul Belvedere dell’abbazia di Rosazzo.  L’ipotesi è stata formulata in occasione del restauro del ciclo scultoreo effettuato nell’estate del 2008 grazie al contributo regionale e al generoso intervento della Fondazione Crup, che ha accolto l’appello dell’Arcidiocesi di Udine per il ripristino dell’apparato decorativo, seriamente danneggiato dalle forme di degrado tipiche dei manufatti lapidei esposti agli agenti atmosferici.
     La presentazione del restauro si terrà giovedì 25 aprile, alle 18.30, in Abbazia, alla presenza di Daniela Cisilino e Luisa Fogar, le restauratrici della ditta Arecon che con le loro collaboratrici hanno condotto i lavori, di mons. Igino Schiff, presidente della Fondazione dell’abbazia, del rettore della stessa, mons. Remo Bigotto, e del Presidente della Fondazione Crup, Lionello D’Agostini. Il  laboratorio di restauro ha agito in collaborazione con Maria Chiara Cadore, che ha seguito i lavori per conto della Soprintendenza per i B.A.P.P.S.A.E. e con mons. Sergio di Giusto.
     Per l’occasione sarà anche pubblicato proprio su questo restauro il primo volumetto de «I quaderni dell’abbazia», una collana curata da Denise Trevisiol per conto della Fondazione Abbazia di Rosazzo.
     A parere di Cisilino e Fogar, le opere restaurate si collocano nell’ambito della statuaria da giardino che ha come punto di riferimento la complessa decorazione del parco di Villa Manin di Passariano, attribuito da Francesca Venuto allo scultore settecentesco veneziano Giovanni Bonazza con l’aiuto dei figli Tommaso e Antonio.
     La ditta Arecon aveva anche restaurato le statue del giardino interno del palazzo Patriarcale di Udine, ma a parere di Daniela Cisilino «mentre a Udine  è stato possibile ricostruire l’iconologia che abbinava alle virtù canoniche, le allegorie delle parti del giorno e dei continenti, volte a esaltare la famiglia Dolfin, committente dell’opera, a Rosazzo non è stato possibile ricostruire il significato simbolico dell’insieme scultoreo che appare molto disomogeneo». Non sempre i basamenti di pietra piacentina riportano l’identificazione delle statue, spesso mancano gli attributi che potrebbero dar loro un nome tanto che studiosi e restauratrici avanzano l’ipotesi che le sculture potrebbero provenire dal complesso di villa Manin. Secondo una suggestiva ipotesi, priva peraltro di riferimenti documentari, potrebbero essere state un dono del doge di Venezia o dell’influente famiglia Manin, all’arcivescovo di Udine, nominato nel 1754 marchese di Rosazzo detentore, a seguito dell’abolizione del patriarcato di Aquileia nel 1751, dei diritti sul monastero e sui beni di Rosazzo. Ne consegue anche l’attribuzione delle sedici statue dell’abbazia ad Antonio Bonazza, figlio di Giovanni attivo proprio a Passariano, specializzato nella statuaria da giardino in cui gli stessi modelli erano ripresi da diverse botteghe e autori, trattandosi di una produzione artistica quasi di serie.
     Le allegorie dell’Umiltà e dell’Amicizia accolgono, non a caso, chi entra dal cancello di ingresso invitando a tali disposizioni d’animo. Le altre statue poste sul Belvedere raffigurano l’America, l’Aurora, Cleopatra, l’Obbedienza, la Cortesia, la Maestà, la Bontà, la Clemenza, il Dispregio del piacere e altre cinque non identificate. Nel corso del restauro quattro statue sono state ricollocate sulla parte nobile del Belvedere con il parere favorevole della Soprintendenza. Una statua era conservata nel cortile, le altre tre erano state disposte sul muro d’ingresso seminascoste dalla vegetazione probabilmente a seguito del crollo, avvenuto negli anni ’50, dei muri di contenimento che avevano spezzato alcune statue, malamente rabberciate con grappe in ferro. Le statue di Rosazzo sono state realizzate in pietra tenera di Vicenza e risultavano danneggiate da un degrado chimico fisico, dovuto gli agenti atmosferici, soprattutto alla pioggia che aveva trasformato in alcuni punti il carbonato di calcio in bicarbonato e quindi in solfato di calcio, cioè in fragilissimo gesso. Licheni e muschi erano poi cresciuti sulla superficie scabra e porosa alterandone l’aspetto e il colore. Sono state eliminate anche delle croste nere prodotte nei sottosquadri dall’azione combinata di pioggia e inquinanti atmosferici. Dopo l’eliminazione dei microrganismi vegetali e il consolidamento con resine acriliche, la pulitura è stata eseguita con un macchinario che a bassa pressione emette una miscela di acqua, aria e sabbia che rimuove lo sporco rispettando la patina superficiale. Così le statue hanno ripreso vita, fondendosi con le memorie del passato e ricongiungendo «arte, spirito e storia».