gnovis dal Friûl e dal mont


Leproso, 06 Marzo 2001 -
Per soddisfare la curiosità di Walter Cibischino, ho voluto scrivere un piccolo rapporto sui "sclâs", gli abitanti delle Valli del Natisone, l'estremo nord-est del Friuli. Spero alle espressioni usate nelle parole in friulano, sia dato il giusto significato.  Aldo Taboga.


Furlans e sclâs

Per noi friulani della pianura, quando parliamo di "sclâs", ci riferiamo agli abitanti delle Valli del Natisone (o Slavia friulana), gente particolarmente orgogliosa della propria identità, che è riuscita a mantenere intatte le proprie usanze e tradizioni. Essi sono molto fieri della propria lingua, tanto che a volte potrebbero sembrare scortesi, perchè non esitano ad esprimersi nel "loro sloveno" anche in presenza di terze persone... Ma non abbiamo anche noi friulani questa abitudine? Non abbiamo anche noi la presunzione di ritenere il friulano una lingua comprensibile a tutti? A me è successo tante volte...

In passato c'era una reciproca diffidenza tra furlans e sclâs, impressioni che avevo recepito ascoltando i discorsi scambiati tra le persone anziane dei nostri paesi. Ma dopo la guerra, per vari motivi le cose sono man mano cambiate, e questo anche grazie alla… forza dell’amore, che si sà, è in grado di spostare anche le montagne. Infatti molti giovani friulani hanno risalito le vallate del Natisone in cerca della loro "biele sclavute". Questi temerari hanno corso parecchi rischi, prima di riuscire ad accattivarsi le simpatie dei giovani maschi locali, che giustamente cercavano di difendere il loro territorio. Naturalmente, le giovani valligiane, quasi tutte con il diploma di "maestra", erano attirate dalla possibilità di stabilirsi in pianura, mentre difficilmente una friulana accettava di sposare un "sclâf", amenochè non fosse disposto a scendere in pianura.

Il miei primi contatti con i "sclâs", li ho avuti quando in autunno li vedevo scendere nei nostri paesi con i loro carretti carichi di prodotti da scambiare con "blave" (granoturco), prodotti che potevano essere castagne, mele, susine, oppure (di nascosto) bottiglioni di grappa, prodotta in distillerie clandestine nascoste nelle zone più impervie, per sottrarsi al "naso" della Guardia di Finanza. Quando ero apprendista sarto, per l’acquisto del carbone per il grosso ferro da stiro, lo zio Cinio si riforniva da un vecchietto abitante in un paesino sperduto "in sclavanie". Solo lui riusciva a produrre un carbone "cotto" al punto giusto, in grado di non emettere fumo da legna incombusta.

Il punto di contatto più importante tra le comunità della Slavia friulana ed i furlans è sempre stato Cividale del Friuli. Infatti, al mercato del sabato, la "ponte di citât" veniva invasa dalle genti delle Valli, che scendeva carica dei suoi prodotti e rientrava dopo aver speso il ricavato in attrezzi ed altri prodotti di cui necessitava, e riservando un parte per un piccolo deposito in banca…!

Anche per gli abitanti dei nostri paesi, specialmente di una certa età, era diventata una tradizione essere presenti il Sabato al mercato di Cividale, anche se non avevano niente da vendere o da comperare. Mi ricordo una specie di barzelletta, raccontata proprio da un "sclâf", che, proveniente da Calla, si era stabilito a Leproso. Si tratta di un friulano, rivolto ad un altro friulano appena tornato dal mercato di Cividale, che gli chiede: Arie tante int a Cividât? – E l’altro risponde: Era pôcja int ma un grum di sclâs…! (C’era tanta gente a Cividale? – C’era poca gente ma molti slavi…!)

Dai discorsi che ascoltavo da piccolo, i miei paesani consideravano "i sclâs" persone facilmente raggirabili negli affari, ma spesso poi si scopriva che erano proprio loro a risultare gabbati… E’ anche facile capire il perché: mentre per i miei paesani, spesso l’unico periodo vissuto lontano dal loro paese era stato in occasione della ferma militare, gran parte della gente delle Vallate del Natisone aveva trascorso parecchi anni all’estero per ragioni di lavoro, conosceva almeno una lingua straniera, oltre al "sclâf" al "talian", ed il più delle volte al "furlan".

Un grande contributo al miscliç (miscelamento, fusione, integrazione) è stato il vero e proprio "esercito" di giovani che ogni mattina scendevano dalle valli, per recarsi a lavorare nella "zona della sedia". Si può immaginare il grande sacrificio di questi poveretti (maschi e femmine) che dovevano alzarsi due o tre ore prima per essere puntuali all'apertura delle fabbriche. Questa manodopera era particolarmente tenuta in considerazione dagli imprenditori del "triangolo della sedia", tanto da favorirli fornendo loro il furgoncino per recarsi sul posto di lavoro. Il veicolo era condotto dall’operaio geograficamente più lontano, che la mattina scendeva e caricava nei vari paesi gli altri operai, e la sera rifaceva la strada inversa.

Naturalmente questo comportava immensi sacrifici specialmente nella stagione invernale, tanto che piano piano molti si sono accasati in pianura o comunque vicino al posto di lavoro, con il conseguente lento spopolamento della Vallate del Natisone. Se si considera che da sempre quella zona è stata interessata dal doloroso fenomeno dell’emigrazione (sicuramente più massiccia di quello che aveva interessato la pianura), si può benissimo capire che la situazione era piuttosto critica.

Per problemi di salute, per una decina d’anni non ho avuto occasioni per recarmi nella Vallate del Natisone, ma quando ho ricominciato a visitarle in cerca di informazioni per le pagine del "Di ca e di là del Nadison", ho notato un evidente miglioramento della viabilità, anche nei sobborghi più sperduti. Ho inoltre constatato un grande "fermento" con numerose iniziative per valorizzare le culture e le tradizioni di questo "nostro" meraviglioso angolo di Friuli nord-orientale. Spero che anche le nostre pagine siano di qualche aiuto per far conoscere in tutto il mondo queste nostre realtà.