. ORSARIA
N  46°03.3  -  E 013°25.6

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ORSARIA

          Orsaria forma da sempre una comunità compatta e solidale con i paesi di Leproso, Paderno e vari casali, tutti riuniti attorno alla parrocchia di S.Ulderico. L’attuale chiesa fu costruita all’inizio del novecento in stile neogotico sul sito della precedente di cui rimane solo la torre campanaria, su di un piccolo poggio, luogo strategicamente importante e certamente molto antico, in quanto costituiva l’argine di un castelliere risalente al 2°-1° millennio A.C.
          Questo territorio fu popolato da tempi immemorabili: lo testimoniano il ritrovamento di resti e macerie di insediamenti romani, il rinvenimento di tombe longobarde e addirittura la scoperta di reperti silicei dell’età della pietra. Citato per la prima volta nel 1172, in epoca patriarcale dipendeva dalla gastaldia di Cividale e dal 1420 fino al 1797 fu sotto il dominio dei veneziani. Con la venuta di Napoleone, divenne Comune autonomo fino alla prima metà dell’ottocento quando "Orsaria in piano con Orsaria in monte con Paderno" passò alle dipendenze del Comune di Buttrio. Dal 1° febbraio 1870 gli abitanti scelsero far parte del comune di Premariacco. Leproso in quel periodo era una frazione di Ipplis e tale rimase fino al 1929.
          Il borgo, situato a strapiombo sulla sponda destra del fiume Natisone, è caratterizzato dalla presenza di numerose case rurali disposte a nuclei più antichi ridossati alla Parrocchiale ed alla Chiesa di S.Antonio. La conformazione urbanistica del paese è di origine medioevale, ed in tale periodo risale la sua centa. Essa era un sistema difensivo eretto dalla comunità in origine costituito dal un terrapieno rafforzato con palizzate successivamente sostituito da edifici che ne rispettarono il perimetro circolare. Probabilmente anche nei pressi della chiesa di S.Antonio era presente una centa, mentre più a nord sono ancora visibili antiche costruzioni dei secoli XV-XVI di alto valore storico ambientale, caratterizzate da una limitata altezza, piccole aperture, ballatoi esterni in legno, facciate in pietrame con affreschi devozionali del primo novecento attribuibili a Jacum Pitôr, il maggior interprete locale di questo tipo di pittura. A sud di questo gruppo di case si trova un notevole edificio padronale con meridiana e portale d’accesso al giardino in pietra sormontato da tettuccio come consuetudine locale. Nei pressi della chiesa parrocchiale un portale ottocentesco in pietra è situato a ridosso di un’antica costruzione con feritoie al piano terra. Nella zona diverse costruzioni rurali presentano ancora nelle facciate interne i tipici ballatoi lignei.
          Dopo secoli di economia legata esclusivamente all’agricoltura, nel secondo dopoguerra si è avuto un notevole sviluppo artigianale ed industriale e tutta la zona si è inserita con merito nel Distretto Industriale Manzanese, dove c’è la più grande produzione di sedie in Italia e in Europa, determinando così un generale miglioramento del tenore della vita. La grande maggioranza della popolazione lavora nell’industria o nel terziario, lasciando a pochissimi contadini, peraltro ben attrezzati, la coltivazione dei campi. Da una decina di anni sono sorte due distinte aree destinate all’industria ed artigianato, che raccolgono mano d’opera proveniente da tutto il circondario e anche dalla vicina Slovenia. Una si trova a nord di Orsaria, in località Sopravilla, e l’altra a sud-est del paese di Leproso.
          La comunità di Orsaria è ricordata anche per le Mascherate, cioè quelle festose manifestazioni di Carnevale, risalenti pare al Seicento, che erano non solo una sfilata di carri e di maschere, ma una vera e propria rappresentazione satirico-teatrale nella piazza principale del paese a cui partecipavano migliaia di spettatori provenienti da tutto il Friuli.
          Nel territorio operano diverse associazioni di carattere culturale, assistenziale, sportivo e ricreativo. Come la Società Operaia di Mutuo Soccorso (che nel 1999 compie ben 120 anni), il TeatrOrsaria, il Gruppo Alpini con la Protezione Civile, l’Azzurra Calcio, l’Azzurra Pallavolo, i Pescatori sportivi, Cacciatori ed altre ancora, che raccolte attorno alla Parrocchia di S.Ulderico son non solo luoghi di aggregazione e di socializzazione, ma anche soprattutto servono
a mantenere vivo lo spirito e le tradizioni dell’antica comunità friulana che fa capo a Orsaria.  

MASCHERATE CARNEVALESCHE

            Don Paolino Urtovic a pag. 63 di Una parrocchia friulana (Castelfiorentino, 1918) ebbe a scrivere: Gli orsariesi sono «curiosi, facili a criticare, hanno uno spirto acuto che si rivela specialmente al tempo dei matrimoni nel carnevale. Di qui anche le famose carnevalate»...
   
         Le note, chiassose e piacevoli manifestazioni del carnevale di Orsaria principiarono subito dopo la prima metà dell'Ottocento. Furono sempre preparate con paziente meticolosità, con gusto artistico non comune: dialoghi e monologhi erano stesi in precedenza in versi friulani. L'argomento veniva ispirato dalle vicende locali e da fatti internazionali: l'interpretazione avveniva in chiave o umoristica o satirica. Gli attori,  sempre con il volto nascosto nelle fogge più strane, architettavano sotto la direzione del «presidente» una messa in scena del tutto originale. Nel giorno stabilito i partecipanti accorrevano sulla piazza. Su di un piccolo palco sedeva maestoso il presidente il quale invitava gli incaricati a dare inizio allo spettacolo. Famose restano le prestazioni di Jacum Bisòt (Giacomo Confin), Meni Picòt (Domenico Orgnacco), Tin Pauluz (Valentino Pauluzzi), Vigj del Zuet (Luigi Potocco), Antonio Pauluzzi ed altri. I temi trattati (ad esempio: La vittoria dei Piave nel 1920; Wilson ed i 14 punti per la pace nel 1921; La santa di Siacco nel 1927; La spedizione del carnevale nel mondo della luna nel 1929; Le glorie di Orsaria (nel 1931) offrivano lo spunto a commenti calzanti, briosi, pungenti, efficacissimi nel destare risate scomposte ed esaltanti. Il lavoro paziente di mesi sciorinato in battute spiritose, in una scenografia indovinata, lasciava artisti e spettatori soddisfatti: l'appuntamento era immancabilmente per l'anno successivo. L'ammonimento dei fascisti, che non avrebbero gradito satira politica sulle piazze, ebbe come unico effetto di affinare le armi e di rendere la prudenza più circospetta.
   
         Il secondo conflitto mondiale impose comprensibilmente una sospensione. Nel 1947 ripresero le manifestazioni  con maggiore pateticità di argomenti: Raccomandazioni per vivere in fraternità ed in-pace, Esortazioni alla concordia... Si ebbe l'impressione che la vena originale andasse estinguendosi. Con la sfilata dei carri allegorici del 1954 si chiuse il ciclo dei simpatici incontri del carnevale d'Orsaria. E non ebbe esito felice il tentativo di un gruppo di ragazzi che, nel 1960, tentarono di far rivivere la vecchia carnevalata.

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Gian Paolo Thanner
pittore e intagliatore in Friuli

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            Nella storia dell'arte friulana è già noto un Leonard o Tedesco, figlio di Gerardo Thanner, oriundo da Landshut (Bassa Baviera), pittore e intagliatore che i documenti mostrano operante o abitante in vari luoghi della nostra Regione (Cividale, Tarcento, Udine) per tutta la seconda metà del Quattrocento. Di lui, oltre alle notizie d'archivio, ci resta, incompleta, una bell'ancona lignea attualmente collocate nella chiesa di S. Antonio Abate a San Daniele ed una tavoletta dipinta con la figura di Santa Apollonia a Cividale. In questo lavoro e nelle cinque figure di santi dipinte sulla predella dell'ancona, egli si rivela pittore disinvolto ed esperto, assai vicino alla maniera di Tommaso da Villaco e dei contemporanei friulani Andrea Bellunello e Gianfrancesco del Zoto da Socchieve (Gianfrancesco da Tolmezzo); come intagliatore appare strettamente legato agli schemi gotici delle botteghe d'intaglio ratisbonesi, in una maniera ancora fortemente stilizzata e tipizzata ch'egli sa trattare con tutta sicurezza e coerenza.
   
         Ma c'è un altro Thanner, credibilmente figlio del primo, e d'una trentina d'anni più giovane, intorno al quale si può trovare qualche cenno impreciso e poche ipotesi attributive, per lo più infondate, in qualche vecchio scrittarello locale. Alle nostre indagini, quest'artista risulterebbe autore d'un complesso imponente di superstiti affreschi decorativi sparsi in una quindicina di chiesette del Friuli. Diciamo risulterebbe non tanto perchè ci riesca problematico il riconoscere una stessa mano in quei dipinti, quanto perchè non ci è possibile controllare l'esattezza degli indizi che portano alla sue identificazione. Infatti la sua firma si legge attualmente — e si legge male — in un sol luogo: sotto un affresco della chiesetta di San Pietro a Magredis. Ivi si distinguono chiaramente solo e parole ZUAN PAULO TONA...; in passato, stando a quanto ne scrisse più di un osservatore nostrano, si poteva leggere chiaramente TONAR (o TONNAR: sopra la N par di vedere il segno abbreviativo di una seconda N). Ora Tonar non è che la trascrizione fonologica di Thanner, secondo la pronuncia carintiana, più familiare in Friuli (come la forma Thanna, usata dall’altro pittore nel firmare l’ancona lignea sopra ricordata, rappresenta la reale pronuncia bavarese dello stesso nome). E si tratta di un casato che, con le solite incertezze grafiche (Thonar, Tonher, Tonero...) s'incontra anche in carte posteriori e sopravvive tuttora in Friuli nella forma Tònero.
   
         Altre notizie per noi incontrollabili, attestano che Gian Paolo Thanner, nel 1501 abitava a Cividale, più tardi era domiciliato a Tarcento e aveva condotto in moglie una certa Caterina, figlia di ser Bernardo del Ponte dello stesso luogo.
   
         Ma tra il primo e il secondo Thanner c'è una fondamentale, incolmabile diversità di spirito e di forme, un tale divario anche qualitativo, da rendere quasi invisibile quel rapporto da maestro a discepolo, che sarebbe naturale e pressoché inevitabile, tra padre e figlio cultori della stessa arte. Gian Paolo è un pittore popolaresco, per non dire popolare: in ogni modo sopra un piano diverso da quello dei coevi Tolmezzini (anche dei meno apprezzati, come Pietro Puluto o Gian Pietro da San Vito): pittore di chiese rustiche e di modesti quadri votivi eseguiti sulle sacre pareti dietro ordinazione di persone private, " per loro devocion ".
   
         Egli ignora, o quasi, la prospettiva; usa colori di qualità scadente, con evidente ed ostinata inesperienza della tecnica dell'affresco (non sa calcolare esattamente l'inevitabile degradazione delle tinte per effetto del prosciugarsi della malta, o adopera calce inadatta); disegna col pennello grossolanamente e frettolosamente (è raro che gli riesca di fare un viso con gli occhi uguali); tratta il panneggio come un principiante; riempie gli spazi con lillipuziane figurine di committenti o devoti, e con puerili e lunghe didascalie in un volgare tra veneto e friulano pieno di spropositi; ripete all'infinito certe figure nello stesso schema iconografico. E' persino difficile dire se la sua maniera, piena d'un'ingenuità che possiamo definire ancora medievale, sia più o meno tedescheggiante: è una maniera personalissima, da artista senza scuola, con vaghe reminiscenze della tecnica grafistica d'un secolo prima e con vaghe risonanze di modi rinascimentali coevi, oppure di formule tolmezzine. Di nordico c’è in lui quel grafismo che i Tedeschi suoi coetanei avevano già abbandonato, una (forse inconscia) tendenza alla caratterizzazione tipologica e qualche particolare iconografico (per es., San Giuseppe che regge una candela e ne difende la fiamma dal vento, nell'Epifania di S.Pelagio). Insomma, che Gian Paolo sia stato veramente figlio del pittore e intagliatore Leonardo parrebbe certo (il Joppi trovò in qualche carta il nome di Giovanni Thanner quondam Leonardo, 1501); ma suo discepolo, almeno per ciò che riguarda la pittura, è difficile crederlo.
   
         Invece è probabile ch'egli fosse nato in Friuli e da madre friulana: infatti il nome Gian Paolo parrebbe del tutto estraneo all'usuale antroponimia germanica. Suoi modelli - se di modelli si può parlare a proposito di quest’autodidatta - potrebbero essere stati Gian Pietro da San Vito e l'ignoto autore degli affreschi ancor visibili nella chiesetta campestre di San Daniele, presso Zugliano (un nordico, per qualche rispetto affine a Leonardo Thanner, ma non ignaro delle maniere friulane del tempo). Nel valutare, comunque, la sua opera, i rapporti di discendenza o di parentela artistica sono da ritenersi irrilevanti: un giudizio qualsiasi può formularsi soltanto intorno al suo istinto pittorico, cioè all'innato senso dello spazio e del colore ch'egli, quasi inconsciamente rivela; ed entro questi limiti, il giudizio può essere anche positivo.
   
         Forse alla pittura egli si dedicò soltanto a qualche distanza dalla morte del padre, eseguèndo dapprima semplici affreschi votivi del genere di quelli, testè ricordati, di San Daniele a Zugliano, e poi affrontando cicli decorativi di maggior impegno. Ma restò sempre nell'ambito rusticano artisticamente arretrato e di più facile contentatura. Infatti l’elenco delle località, dove crediamo di riconoscere la sua mano - e, in genere, riconoscerla non è davvero cosa ardua - dimostrerà che Gian Paolo non s'arrischiò mai ad abbandonare la campagna.
   
         Un ordinamento cronologico comprendente tutte le pitture del Thanner, con le date a nostra conoscenza, non ci sentiamo di proporre, soprattutto perchè è difficile riscontrare una chiara evoluzione o un progresso apprezzabile nella sue maniera di dipingere. Al più potremmo esprimere l'opinione che siano tra le sue prime cose, le rozze figure devozionali di S. Giovanni a Ramandolo, la decorazione di San Giacomo a Camino di Buttrio, quelle di Svina e di S. Martino ad Artegna; e fra le ultime gli affreschi votivi in S. Maria degli Angeli a Reana. Negli ultimi lavori par di scoprire un migliore equilibrio nel disegno, una meno primitive esecuzione del panneggio, un uso più maturo e ponderato del colore; ma nulla assolutamente che possa suggerire l'idea d'influenze da Pellegrino, da Giovanni Martini o dal Pordenone che lavoravano in Friuli negli stessi anni: questi gli restano del tutto inaccessibili.
   
         Uno dei complessi decorativi meglio conservati — e, forse, primi in ordine di tempo — sembra essere quello della chiesetta, ore abbandonata, di Svina (presso Caporetto). Esso riproduce, per quanto l'architettura tardogotica di tipo austriaco lo consente, lo schema preferito dalla tradizione friulana del tempo: le figure degli Apostoli allineate sulle pareti del presbiterio; qualche episodio evangelico (Natività, Adorazione dei Magi) nelle lunette fra i peducci della volta; Cristo datore della Legge in una mandorla iscritta nel romboide centrale (fra le due chiavi di volta); i quattro Padri della Chiesa Latina ed alcuni angeli musicanti negli spazi poligonali creati dall'intrecciarsi dei costoloni; ecc. Le figure hanno occhi sbarrati, mento brevissimo o barbe che sembrano appiccicate al viso come quella di Babbo Natale; il panneggio è rudimentale, con le pieghe segnate mediante striscie o zone di tinta più carica e con rari tentativi di gradazione chiaroscurale; i costoloni sono decorati a serie di brevi tacche rettangolari disposte trasversalmente; le tinte sono, in genere, calde e brillanti, distribuite con una certa istintiva sapienza.
   
         Anche la decorazione del presbiterio nella chiesetta di S. Pelagio presso Adorgnano (Comune di Tricesimo) appare assai vicina alla precedente in ciò che riguarda lo schema e la maniera di dipingere, benchè la data 1535, visibile ai piedi della Crocifissione (sopra il colmo dell'arco trionfale), riveli un notevole divario cronologico. Vi si vede la consueta teoria degli Apostoli sulle tre pareti perimetrali; un'Adorazione dei Magi nella lunetta sinistra (a destra s'apre una finestra con un S. Giovanni Battista sopra l'arco e, ai lati, due angeli musicantii; i quattro Evangelisti coi loro simboli nella crociera; la Salita al Calvario, la Crocifissione suaccennata e la Deposizione nel sepolcro, sul davanti dell'arco santo e, più in basso, l'Angelo Gabriele da una parte, e l'Annunciata dall'altra, quasi illeggibili.
Giuseppe Marchetti

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NOVITA' SU GIAN PAOLO THANNER
PITTORE "POPOLARESCO" DEL '500 IN FRIULI

            Verosimilmente figlio del tedesco Leonardo Thanner , noto per essere l'autoredella pregevole ancona lignea scolpita e dipinta ore nella chiesa di S. Antonio Abate a S. Daniele, Gian Paolo va considerato l'autore di un " complesso importante " di affreschi per lo più ciclici disseminati in pievi e chiesette votive di un’area che, avendo come epicentro all'incirca Tricesimo (vicino dunque a Tarcento dove è documentato che il pittore risiedette e prese moglie) si spinge a nord a Gemona, a est a Svina presso Caporetto e a sud-est e sud rispettivamente fino a Variano (Basiliano) e a Buttrio. Pittore cordialmente " popolaresco ", ma puntuale saggio, Gian Paolo Thanner appare comunque dotato di una maniera personalissima, da artista senza scuola, con vaghe reminescenze della tecnica grafistica d'un secolo prima e con vaghe risonanze di modi rinascimentali coevi oppure di forme tolmezzine. Sulla base del firmato ciclo-pilota della chiesa di S. Pietro a Magredis, datato 1514, il Marchetti attribuì plausibilmente al Nostro affreschi datati a Segnacco (S. Eufemia: 1512), Racchiuso di Attimis (vecchia parrocchiale: 1518?), nella chiesa di S. Giuliana a Sedilis (Tarcento), dipinti in Racchiuso, Variano, Vendoglio, Tricesimo e Artegna.
   
         Proprio a Vendoglio, nel grande affresco della Crocifissione emerso fortunosamente nel presbiterio dell'ex chiesa, è dato cogliere senza dubbio il " capolavoro " del Thanner junior, un'opera questa che per la sua sicura impaginazione rinascimentale come per la dosata partitura cromatica s'impone tra i migliori affreschi del Cinquecento nel Friuli centroorientale. In questo dipinto, databile assieme alla riscoperta lunetta sulla parete sinistra al terzo decennio del Cinquecento, il Thanner si riscatta dai tanti rusticani solecismi di cui è farcita la sua prosa talvolta incredibilmente sciatta e grossolana. E che a Vendoglio abbia operato proprio questo tarcentino di origine alemanna lo testimoniano inequivocabilmente le figure degli Apostoli allineate nel sottostante registro, le quali hanno occhi sbarrati applicati al viso.
   
         Anche il Marchetti notava la difficoltà di una sistemazione cronologica delle opere non datate attribuite al Thanner, ma non accennava invece alla collaborazione di aiuti dei quali invece dovette largamente servirsi data la notata mole dei lavori. Che tali aiuti fossero poi poco pratici del mestiere lo prova quel divertente centone iconografico che si stende sulle due pareti dell'aula di S. Leonardo di Variano dove il Marchetti individuava, dalle poche tracce che s'intravvedevano prima della messa in luce, la presenza di due mani per ciascuna superficie. Sarà invece piu' agevole spiegare alcune difformità grammaticali e sintattiche, presenti d'altronde anche in altri cicli, colla presenza di alcuni garzoni a cui devonsi certo le scene più sgangherate della parete destra, eseguite pressoché a monocromo per economizzare sui colori tra cui è assente il blu, l'unica tinta costosa assieme all’oro e in tempi assai veloci dato che la scritta " ADI' 23 DICEMBRE 1533 " è ripetuta in due scomparti contigui. E non con carenze tecniche ma con la frettolosità nell'esecuzione, cui doveva corrispondere l’esiguità del compenso, vanno spiegate pure alcune incongruenze del Thanner nell'impiego della pittura murale.
   
         Il pittore infatti a Variano, al mento brevissimo e barbe che sembrano quella di Babbo Natale secondo quanto ebbe cingendosi alla decorazione del presbiterio partendo da sinistra verso destra, non rispetta assolutamente le " giornate " ma, data la calce in un unico momento, cominciò col dipingere a vero fresco per passare poi, man mano che le pareti si asciugavano, al " mezzo-fresco " finendo poi coll’eseguire gli ultimi scomparti a secco.
   
         Ma che la tecnica di Gian Paolo sia generalmente a " buon fresco " lo dimostra la decorazione, già parzialmente scialbata, di S. Pelagio che ha rivelato una vivace partitura cromatica impostata oltre che sulle " terre " su un ben conservato blu-cobalto. Similmente si constata ad Artegna dove le vele grossolanamente ridipinte, mentre sapidamente corsiva è la decorazione del nicchione sulla parete sinistra della navata che attira soprattutto per il realismo popolare delle figurette dei confratelli accompagnate dai propri nomi friulani.
   
         Negli affreschi di racchiuso, il Thanner appare ancora immerso in una reveríe tardo-gotica di estrazione tedescheggiante e ad un'iconografia nordica si riferisce pure la decorazione dell'arco trionfale dove è stata scoperta la scene dei Sacrifici di Abele e di Caino.
   
         Queste brevi note su Gian Paolo Thanner non pretendono certo di essere esaustive ma solo di costituire uno stimolo ad una sistematica ricognizione della pittura friulana a fresco, in parte ancora da " scoprire ", usando tale termine sia in senso letterale che critico. E' indubbio che una siffatta indagine porterebbe ad una maggior conoscenza anche di questo friulanissimo pittore.
Alberto Rizzi

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