La mia storia

            
  
    Questo sarebbe dovuto essere il primo pezzo della pagina "dietro le quinte", perché volevo iniziare rispondendo ad una domanda ricorrente che mi viene posta dai visitatori del sito, quando mi contattano di persona o via E-mail. La domanda ricorrente era ed è: Che cosa facevi prima di creare il tuo sito Web...?
            Fare una sintesi di tutti gli episodi più importanti e descrivere i vari passaggi fino ad arrivare agli oltre 16.000 visitatori del sito "Di ca e di là del Nadison", sarebbe molto problematico, tanto valeva allora cominciare con il parlare della storia della mia vita fin dal principio. Ma per non dover rivangare i momenti più tristi della mia vita, cercherò di evitarli il più possibile. Dovendo affrontare anche argomenti strettamente personali, che a qualcuno potrebbero risultare noiosi, chiedo scusa in anticipo e metto in guardia coloro che malgrado l'avvertimento, volessero proseguire nella lettura...

        Sono nato nel 1937, mentre mio padre era impegnato in Abissinia alla "conquista dell’Impero". Da bambino, ricordo di aver visto soldati tedeschi piazzare le mitragliatrici nei punti strategici delle vie di Leproso, di essere scampato ad un massiccio bombardamento degli alleati in Via Marsala a Udine, e di aver visto per la prima volta il pane con la mollica di colore bianco quando in Friuli sono arrivati i primi soldati americani.
        Di fragile costituzione fin dalla nascita e sempre malaticcio, solo per puro miracolo il mio fisico ha resistito alla naturale "selezione", che fino a mezzo secolo fa toglieva di mezzo i soggetti più deboli. Gli effetti del secondo errore della natura si sono evidenziati quando ho cominciato a fare i primi passi. Solo allora i miei familiari si sono accorti che non camminavo in posizione eretta e che la colonna vertebrale non si sviluppava in modo regolare.
        Ancora oggi mi domando come la mia famiglia, molto povera ma ricca d'amore per me, abbia potuto raccogliere la somma necessaria per mandarmi in un famoso ospedale ortopedico al Lido di Venezia.


Mi padre ed io, al momento del ritorno a casa dall'ospedale - (1940-1941)

Dopo una permanenza di circa 6 mesi sono ritornato a casa che parlavo "venesian", tanto che i miei amici mi prendevano in giro dicendomi: Venesian caga in acqua ...!
        Se ricordo bene, in quell’ospedale, le uniche tecniche adottate per cercare di risolvere i miei problemi, erano quelle di tenermi strettamente legato al letto 24 ore su 24. Prima di essere dimesso, mi hanno costruito un busto di plastica (a quei tempi di celluloide), formato da due gusci che venivano strettamente legati sui fianchi con delle cordicelle attaccate a dei ganci come certi scarponi da montagna. Intanto la mia colonna vertebrale continuava a contorcersi con conseguenze devastanti sul mio corpo... e sul mio spirito.
        Descrivere il periodo dell'adolescenza e della prima giovinezza, sarebbe troppo doloroso, ma vorrei soltanto soffermarmi sul momento di dover prendere la decisione su quale strada, compatibile con il mio stato, avrei potuto prendere per guadagnarmi "la pagnotta" e continuare la mia non proprio fortunata esistenza.


Io e Dario Pividore, in via Marsala a Udine, intorno al 1944

          Avendo una buona attitudine allo studio, dopo la quinta elementare i miei insegnanti hanno consigliato i miei famigliari di farmi continuare gli studi, iniziando a frequentare le scuole superiori a Cividale. Purtroppo allora non erano ancora stati inventati gli scuolabus e sopraggiunto l'inverno, la bora che incessantemente soffia dall'altipiano della Bainsizza, ha avuto la meglio sulla scarsa resistenza fisica di quel fragile "biciclettista". Interrotti gli studi, bisognava quindi imparare un mestiere, e la scelta non poteva che essere... il sarto.
        Devo dire che questa decisione era la più ovvia, perché da generazioni la famiglia Taboga era conosciuta come "sartors" o "muradors". D'altra parte, mio fratello classe 1925, un bel giovane alto e slanciato (che non aveva certo i miei problemi), aveva già una sartoria a Oleis e lavorava per conto suo.
          Mio padre faceva il muratore, mentre un suo fratello, "barba Miro", aveva una sartoria in paese ed un altro "Taboga" Agostino detto Cinio, cugino di mio padre, era titolare di una seconda sartoria, fatto straordinario per un piccolo paese  come Leproso.
        Un altro fratello di mio padre, Ardemio (Chêco) Taboga, aveva lasciato il Friuli subito dopo la I° Guerra Mondiale ed aveva una sartoria a Rosario in Argentina. Purtroppo lo zio, che avevo visto in occasione dell'unica volta che era tornato a rivedere il suo Friuli, ora è sepolto in quel lontano paese. Sarebbe molto bello che mia cugina, che non ho mai conosciuto, potesse vedere quello che sta facendo il suo lontano parente "furlan".
        Un altro mio zio, Erminio Taboga, non gradendo il clima che si era creato dopo la Grande Guerra, era emigrato in Francia ed aveva un'impresa edile nei dintorni di Parigi. Lo zio Erminio, favorito dalla vicinanza, ogni due o tre anni trovava il tempo di fare una capatina in Friuli per far visita ai parenti ed amici. Anche in Francia quindi ho dei cugini, due dei quali non ho mai conosciuto, ma il terzo, Luigi, ogni tanto viene a trovarci.
        Se barbe Chêco e barbe Erminio sono emigrati per incompatibilità con il clima politico del periodo subito dopo la 1° Guerra Mondiale, praticamente, lo stesso motivo ha spinto altri due miei zii a lasciare il Friuli dopo il 2° Conflitto Mondiale. Una zia, Lina Montina in Pallavisini e sorella di mia madre, con la sua numerosa famiglia, aveva raggiunto il marito emigrato in Francia, "sparpagliando" una decina di friulani in quel paese oltre le Alpi.
        Lo zio Giovanni Montina, fratello di mia madre, emigrato in Belgio dopo la 2° Guerra Mondiale, e' morto recentemente dopo anni di sofferenza per i polmoni intasati dalla silicosi. Anche in Belgio quindi ho cinque cugini: una bella cugina e quattro cugini alti e robusti, che se fossero cresciuti in Italia avrebbero tutti indossato "il cappello con la piuma" come il loro genitore. Uno dei cugini, Hugo, mi invia periodicamente i suoi messaggi via Internet, scrivendoli in una lingua assolutamente indefinibile che e' una miscela composta per il 70% di francese, 20% di friulano e 10% di italiano. I messaggi, alcuni dei quali sono esposti nella pagina "I vostri messaggi", sono assolutamente spassosi.
        Parlando di esperienze che hanno toccato la mia famiglia, senza il timore di essere smentito o contestato, posso tranquillamente affermare che non solo la fame ma anche i motivi politici possono aver spinto i friulani verso l’emigrazione. Ho voluto soffermarmi su questi particolari che riguardano l’emigrazione, per spiegare qual'è lo spirito che mi guida nella gestione del sito "Di ca' e di la' del Nadison".
        Ritornando al momento di scegliere un mestiere, ho iniziato a fare il sarto nella bottega di "barba Cinio", continuando per circa tre anni e percependo una paga settimanale di... poco più di zero...! In quei tempi, ci voleva poco che fosse il garzone a dover pagare per poter... apprendere il mestiere... Mio zio più volte ci rammentava che sua madre aveva dovuto vendere un vitello per permettergli di "imparare il mestiere" presso una sartoria a Cividale.


Al centro della foto, io con la fisarmonica.
Partendo da sinistra c'è mia madre, mia sorella Nina con il figlio Nino, la zia Pina, nonna Filomena,
zia Guerrina e nonno Luigi. I due "indiani" sono i cugini Claudio e Ugo De Franzoni,

        Un fatto importante e' avvenuto quando Mariute e Jole, le due mie cugine che lavoravano nella sartoria con me, dal ritorno da una delle prime edizioni della "Fiera campionaria di Trieste", hanno portato dei depliant raccolti nei vari stand e tra questi c'era anche il "Bollettino Tecnico Geloso n.3". Sfogliando quelle pagine e' scoccata la scintilla...! Da allora,  dopo aver richiesto i due numeri arretrati, per anni ho ricevuto tutte le pubblicazioni tecniche della gloriosa "Geloso" fino alla sua... fine. Pur continuando ad utilizzare ago e ditale, ho iniziato a procurarmi cacciaviti, pinze ed attrezzi vari, effettuando i primi "esperimenti" e fulminando i primi fusibili dell'impianto elettrico di casa. Ricordo ancora uno dei miei primi esperimenti; avendo infilato nella presa FONO di un vecchio "Ducati", i due fili collegati ad un portalampada… speravo che parlando in quel "grop", dall’altoparlante di quella vecchia radio uscisse qualche suono. In realtà, dall’altoparlante usciva solo il ronzio dei 50 hertz di uno scarso filtraggio nell’alimentazione.
        Un aiuto sostanziale l'ho avuto seguendo un corso di radiotecnica per corrispondenza di una scuola di Milano, un Istituto che credo abbia chiuso da molti anni. Le dispense scritte su ruvida carta protocollo, venivano inviate su richiesta e le richieste erano proporzionate alla mia scarsa disponibilità finanziaria. Una spinta la ricevevo quando veniva a trovarmi lo zio Renato, una persona molto sensibile che conoscendo la mia situazione, al momento di salutarci e senza che nessuno se ne accorgesse, stringendomi la mano mi "trasferiva" una banconota (mi sembra da 500 lire) dicendomi sottovoce: fatti mandare qualche dispensa...! Ricordo la trepidazione nell'attesa delle dispense, con allegato il pacchettino dei componenti per gli esercizi e per costruire... La Radio ...!!!
        La gioia nell'ascoltare "l'uccellino della radio" nelle cuffie con la radio a galena e poi attraverso un altoparlante con il classico "5 valvole", era immensa e in parte attenuava il dolore per non poter avere una vita normale come quella dei miei amici e coetanei, che consisteva semplicemente nel poter... andare a ballare… avere una "morosa"... ed altre cose assolutamente normali per un giovane a quell'età ...!


Io, all'età dei primi sogni e delle prime grandi delusioni...         

Da sempre appassionato di musica, mi ero procurato una piccola fisarmonica (quasi un giocattolo), poi una "48 bassi". Ma, arrivato il momento di procurarmi uno strumento più serio, sono stato costretto a rinunziare, perchè una fisarmonica più grande non sarei stato in grado di manovrarla. La musica mi ha sempre accompagnato anche nei momenti di grande sconforto. Ancor oggi, quando ascolto certi motivi, il mio cuore si riempie di nostalgia pur procurandomi grande dolore. Certi motivi al ritmo di beguine, mi riportano alla memoria il triste periodo della prima giovinezza, momenti meravigliosi per i miei ex compagni di giochi, che potevano frequentare le varie sale da ballo o i "breârs". E' stato questo il periodo in cui ho lasciato i miei amici liberi di andare per la loro strada, aggregandomi agli anziani e passare il tempo  giocando a carte nell'osteria, fumando e bevendo qualche "tajut"  di troppo. Capivo che questo non era un sistema di vita compatibile con le mie precarie condizioni fisiche ed oltretutto non mi divertiva eccessivamente. E' per questo che per far trascorrere il tempo, spesso mi rifugiavo nel buio di una sala cinematografica, per ritornare in paese sul tardi e figurare di essere stato chissà dove...
        Ma il dolore più grande era quello di accorgermi che mia madre seguiva in silenzio il mio dramma... Dovevo assolutamente fingere di essere, se non proprio felice, almeno sereno. Ma per lei ero un libro aperto, capiva tutto e soffriva in silenzio con me... Insomma una situazione dolorosissima. Più di una volta mi sono rifugiato in posti isolati in mezzo ai campi o boschi dove nessuno poteva sentirmi, per sfogarmi e lasciarmi andare in pianti disperati. Mentre scrivo queste righe, non posso trattenete le lacrime... Ma avevo promesso di non parlare di questo triste periodo ...!
        Dunque, dopo avere imparato come era fatta una radio, ho trovato il coraggio di mettere le mani in apparecchiature di amici e conoscenti, che ignari del rischio che correvano si affidavano al "tenic"; quello infatti era il termine che i miei paesani usavano per indicare il "loro radiotecnico", soprannome che tutto sommato non mi dispiaceva… piuttosto di altri epiteti molto peggiori... Dopo tanti anni, posso comprendere come certe espressioni che molto facilmente potevano essere essere abbinate alla mia infelice aspetto, potevano sembrare non offensive per le persone "normali" che le pronunziavano... Per me erano invece dolorosissime sferzate che fasciavano profonde ferite nell'anima e mi spingevano sempre di più verso un totale isolamento.
        Per migliorare la mia "specializzazione", con il mio fiammante Atala48cc, mi sono recato in un negozio di elettrodomestici in Piazza Paolo Diacono a Cividale, chiedendo se avevano bisogno di uno specialista in... ferri da stiro ed altri piccoli elettrodomestici...! La signora Clementina, una donna alta e di bell'aspetto, squadrandomi da sopra gli occhiali non ha avuto nessuna esitazione e mi ha detto subito di sì.
        In quel laboratorio di Cividale ho lavorato per circa due anni, ma intanto mi ero formata una clientela per conto mio a Leproso e paesi limitrofi. Ad un certo punto ho creduto fosse giunto il momento di mettermi per conto mio, con la costituzione della "Ditta Aldo Taboga" e con l'acquisto di un mezzo di trasporto a quattro ruote: La 500 Bianchina Familiare. Il lavoro era abbondante, ma le entrate erano scarse ...! La Ditta avrebbe avuto una buona resa se fosse stata integrata da una persona che, al momento di compilare e riscuotere le bollette, non avesse avuto tutti gli scrupoli che avevo io. Molte volte recandomi a consegnare una radio o un televisore riparato, pensando di aver calcato troppo la mano con i prezzi, mi tenevo in tasca la nota che avevo preparato e chiedevo la metà del totale della somma. Insomma ... lavoravo per niente e di questo purtroppo se n'era accorta anche mia madre. Per gli estranei invece io facevo soldi a palate e non facevo niente per contraddirli. Infatti, questa situazione mi procurava qualche vantaggio perché c'era più di una madre che "spingeva" la propria figlia a farmi gli "occhi dolci" perché secondo loro io avevo "un mistir uarp" (un mestiere cieco) cioè, per i miei compensi potevo chiedere qualsiasi cifra. Purtroppo io non ho saputo approfittare di questo mio privilegio e sebbene davvero avessi avuto due o tre occasioni di ragazze che "mi filavano", a causa della mia timidezza ed il timore di un rifiuto, non ho mai trovato il coraggio per allungare la mano per una timida carezza. Alla fine queste poverette, visto che non osavo, hanno rivolto le loro attenzioni a ragazzi "normali" che sicuramente non avevano i miei scrupoli. Infatti... dopo nove mesi si potevano vedere le conseguenze ...! L'altra conseguenza, ma molto più tragica, era che io mi rinchiudevo sempre più in me stesso.
        Approssimativamente, è in questo periodo che mi capitò tra le mani una coppia di ricetrasmettitori sulla gamma dei 27 Megacicli, volgarmente detta CB e cominciai a seguire i QSO (collegamenti) tra quei temerari che rischiavano gravi conseguenze dato che anche solo possedere quelle apparecchiature era illegale. Naturalmente anch'io mi sono procurato un "baracchino" ed ho provato le prime emozioni effettuando i primi collegamenti. Da quel momento sopra ed intorno a casa mia hanno incominciato a spuntare antenne di vario tipo e forma. Dopo la legalizzazione della frequenza e la facilità con cui si poteva accedervi, sulla gamma si è instaurato un gran caos che mi ha spinto a fare un salto di qualità, decidendo di sostenere l'esame per il conseguimento della patente di Radioamatore. Tra il rilascio della patente e quello della licenza di trasmissione ... è successo ... il terremoto del 1976, tanto che ho potuto fare soltanto qualche piccolo "servizio radio" nelle zone disastrate, come "secondo operatore"

Continua….

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