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Udine, 4 Aprile 2010
Cappella dell'Ospedale Civile di Udine

Santa Messa nella Chiesa Santa Maria della Misericordia

Vorrei iniziare questo servizio mettendo in evidenza l'importanza del deambulatore, che mi permette di parcheggiare anche in posizione notevolmente decentrata, dandomi la possibilità effettuare riprese fotografiche in fase di avvicinamento e soffermarmi sui particolari più interessanti e utili ai miei scopi. Ho quindi potuto riprendere delle spettacolari panoramiche all'esterno del complesso ospedaliero...

...e perfino soffermarmi anche ad ammirare la grande scultura posta al centro del grande salone d'ingresso dell'ospedale, luogo che ho odiato profondamente perchè l'ho ritenuto ambiente studiato da persone sane ad uso dei sani... Le persone anziane o con qualche difficoltà che arrivano dal parcheggio sottostante, entrando nell'immenso salone lo trovano desolatamente vuoto (se escludiamo appunto la grande scultura di bronzo), senza una sedia o una panchina per sedersi e riprendere fiato... per la verità in un angolo esiste una sala d'aspetto e se non mi sbaglio anche un bar-caffe, ma nei pressi degli ascensori  il vuoto assoluto. Mi ricordo di essere stato costretto ad appoggiarmi ad un portaombrelli per evitare un principio l'infarto...

...sorretto dal mio nuovo "rollator", oggi il salone mi è parso molto confortevole e la scultura un vero capolavoro, al pari di questi piccoli capolavori che ho colto nelle aiuole dei viali interni, che madre natura offriva in queste splendide giornate di primavera. Intravedendo sullo sfondo i padiglioni dei degenti, il mio pensiero è inevitabilmente corso ai miei precedenti ricoveri (due volte in terapia intensiva), dove molte persone in sofferenza sicuramente avrebbero preferito trascorrere il giorno di Pasqua a casa con i propri cari...



...percorrendo i viali interni per avvicinarmi alla chiesa, ho ripreso alcune sculture dedicate ai fondatori dell'AFDS...

...davanti chiesa mi attendeva una sorpresa...


....la Cappella Ospedaliera non ha un accesso esterno per i disabili...


...non l'ombra di uno scivolo, di un ascensore o di monta-scale...


...bene o male, con l'aiuto di un signore sono riuscito a superare i dodici scalini ed entrare in chiesa...

...rimanendo stupefatto nell'ammirare i mosaici, gli affreschi e le stupende vetrate (particolari parzialmente riportati negli estratti dal volume che un dei responsabilI della parrocchia ospedaliera mi ha gentilmente fornito)...



 CANTO D'INIZIO


...il sacerdote all'omelia...


...e alla consacrazione...



 CANTO

(con tutta la mia buona volontà ed esperienza, tranne pochissime accezioni non riuscivo a focalizzare tra i fedeli, i pazienti gli ospiti del nosocomio, facilmente distinguibili perchè giunti in chiesa su carrozzine, sorretti da deambulatori, stampelle o altri mezzi di sostegno... Sicuramente esisteranno agevoli accessi per i disabili dai seminterrati e dalle varie corsie, ma credo che gli ostacoli che ho incontrato personalmente abbiano la loro importanza sulla limitata partecipazione di fedeli ricoverati nell'Ospedale Civile di Udine alla Messa del giorno di Pasqua)



 CANTO DI CHIUSURA

          La Messa del giorno di Pasqua era sostenuta dai canti del soprano Elena Burco e del tenore Paolo Del Torre, con l'accompagnamento all'organo di Caterina De Biaggio. Per una non corretta sistemazione dei miei sistemi di registrazione, il suono dell'organo è risultato prevalente sul canto dei solisti ma non tanto da impedire la valutazione della loro bravura.

Testi tratti dal volume:

La Chiesa Santa Maria della Misericordia nell'Ospedale Civile di Udine

Introduzione

          La Comunità cristiana dell’Ospedale e i sacerdoti che in esso svolgono il loro ministero, intendono ricordare i protagonisti che hanno edificato il tempio centrale del nosocomio udinese: la chiesa “Santa Maria della Misericordia”. È debito di riconoscenza umana e cristiana fare memoria di coloro che ci hanno preceduto. «Facciamo l’elogio degli uomini illustri, dei nostri antenati… il Signore ha profuso in essi la gloria» (Siracide 44, 1-2). Uomini e donne resi illustri dalla dedizione fedele a questo Ospedale, che nel dopoguerra hanno impegnato talenti di umanità e saggezza, di professionalità, di scienza.
          Correvano gli anni della ricostruzione, e l’Ospedale Civile aveva raggiunto traguardi notevoli e livelli elevati di ricerca e di cura. Nuovi spazi, nuovi edifici, nuova era la mentalità di gestione dei padiglioni ospedalieri. Agli inizi degli anni Cinquanta, nacque l’idea di dare un nuovo spazio anche al culto cattolico. Anche la fede necessitava di essere riconosciuta come “centrale” nella cura dell’uomo.
          Fu così che si sviluppò lentamente l’idea di edificare una chiesa nel cuore del nuovo nosocomio, dedicata alla patrona e titolare, Santa Maria.
          La contemplazione dei misteri della vita della Madre di Misericordia e di quelli di Cristo, Suo figlio, raffigurati nelle vetrate istoriate è, per noi, fonte di luce di pace. Le sacre vetrate, illuminate dalla luce esterna, lasciano trasparire nelle tenebre, un raggio di splendore e di verità per l’uomo affaticato e oppresso dal dolore, che sosta in preghiera nel tempio. Quella stessa luce colpisce, leggiadra e soffusa, i mosaici absidali, perché l’affaticato pellegrino della sofferenza umana possa contemplare il cielo e le sue meraviglie, gli angeli, i santi, la Trinità. È la stessa luce, penetrante e mesta, a descrivere i bronzi che raffigurano l’umana sofferenza del Cristo sulla via del calvario, e confortano chi è schiacciato dalla croce del dolore. Di luce, di respiro, di contemplazione ha ancora necessità l’uomo contemporaneo che lavora, lotta, spera. Questa fu l’intuizione di chi ci ha preceduto, che fedeli servitori e amministratori della medicina e delle sue esigenze moderne, servirono dapprima la persona malata, il suo corpo e il suo spirito. Il pensiero corre al parroco di allora, il grande don Olivo Bernardis, al Presidente dell’Ospedale Dott. Alfredo Berzanti, agli amministratori Cav. Arnaldo Armani, Dott. Ezio Terenzani, Dott. Giovanni Guarnotta, Prof. Olinto Fabris, e all’infaticabile economo Dott. Alfeo Macutan. Ma con altrettanto e generoso sguardo di memoria, il pensiero va ai molti altri ai quali è dedicata questa pubblicazione: le intelligenti e infaticabili generazioni di medici, infermieri, operai, tecnici e impiegati; i sacerdoti e le schiere di Ancelle della Carità. Persone che hanno reso grande nel mondo il nome di un ospedale con la passione per la medicina e il grande rispetto per i malati «i nostri unici padroni», come amava ripetere San Camillo de’ Lellis.
          Ora, l’edificio sacro appare a noi nelle sue svettanti linee, così come lo idearono i protagonisti di allora, l’architetto Giacomo Della Mea, con la collaborazione di tanti suoi amici artisti: Ernesto Mitri, Max Piccini, Fred Pittino e di altri, Luciano Bartoli, e Ugo De Casilister, oltre che dalle maestranze dell’Impresa Feruglio. Essi hanno realizzato un edificio sacro - la chiesa di muratura - , perché contenesse una Chiesa di popolo - l’edificio spirituale-.
         Tale attività artistica è fra le più nobili dell’ingegno umano. L’arte religiosa e al suo vertice, l’arte sacra, infatti, hanno per loro natura, una relazione con l’infinita bellezza divina, che viene espressa dalle opere dell’uomo, ed è orientata a Dio e all’incremento della Sua lode e della Sua gloria. Con le loro opere d’arti hanno contribuito ad elevare religiosamente le menti di generazioni di malati e di operatori sanitari.
          Ma cos’è una chiesa? È la “tenda” che Dio ha piantato in mezzo a noi perché fosse una casa di preghiera, in cui il Suo popolo potesse celebrare l’Eucaristia e la conservasse. Qui i cristiani che lavorano e soffrono, si riuniscono; qui, la presenza del Figlio di Dio è offerto sull’altare del sacrificio, e diviene cibo, sostegno e consolazione dei fedeli. In questa “tenda” nel deserto della sofferenza, i pastori e i fedeli sono invitati a rispondere alla chiamata di Colui che di continuo infonde la vita divina e l’amore nelle membra del suo corpo.La chiesa è il luogo sacro, che raccoglie un popolo vivo; è un segno e un invito alla preghiera, un grembo che protegge e fa rinascere l’uomo. Il protagonista principale di questo luogo santo è lui, il Cristo, luce delle genti che illumina ogni creatura (cfr Marco 16,15). Perciò la chiesa, edificio bello e luminoso è segno di una Chiesa-popolo in cammino. Questo è il compito assunto dai discepoli di Gesù: illuminare tutti gli uomini incontrati nel tunnel del dolore umano, con la luce del Cristo, che risplende sul volto della Chiesa. Essa è, in Cristo, il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano. Tutti infatti, operatori ospedalieri e malati, costituiscono l’edificio santo, il corpo vivo e splendente di Cristo che è la Chiesa. Egli la rende splendente con il fuoco e la luce del Suo Spirito d’amore, l’eterna giovinezza di Dio.
          Così, la Chiesa-popolo radunata nella chiesa-edificio, fa memoria del sangue e dell’acqua, che uscirono dal costato aperto del Crocifisso (cfr Giovanni 19,34). Quanti corrono a questa fonte di grazia, così come preannunciato da Gesù stesso: «quando sarò levato in alto da terra, tutti attirerò a me » (cfr Giovanni 12,32). Ogni giorno il sacrificio della croce, col quale Cristo, nostro agnello pasquale è stato immolato (cfr 1 Corinti 5,7), viene celebrato sull’altare: in tal modo, si rinnova la nostra speranza e la nostra redenzione. Tutti, malati e operatori, rispondendo a questo invito di Cristo, irradiano la luce della speranza e dell’amore in questo luogo di sofferenza.
          Mentre, ringraziamo Dio per questa perla artistica collocata nel cuore di questo Ospedale, invochiamo il Suo aiuto perché nessuna delle motivazioni e delle fatiche passate vadano perdute.
          Sull’esempio di generazioni di professionisti che ci hanno preceduto, «anche noi, -odierni operatori ospedalieri - circondati da un gran nugolo di testimoni, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede» (Ebrei 12, 1-2), per fare oggi la nostra parte di bene.
          Marzo 2003 - Don Dino Bressan

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La Chiesa dell’Ospedale di Udine: un Esempio di Collaborazione tra Artisti 

          La chiesa dell’Ospedale di Udine, progettata dall’architetto Giacomo Della Mea, è uno scrigno prezioso di opere d’arte realizzate da Luciano Batoli, Ernesto Mitri, Max e Giulio Piccini, Fred Pittino. Mosaici, sculture, vetrate si compenetrano strettamente con l’architettura e sono state concepite in maniera unitaria coordinandosi strettamente tra loro a formare un insieme di qualità elevata e altamente rappresentativo dell’arte degli anni Cinquanta. L’insieme si è conservato senza gravi alterazioni fino ai nostri giorni fornendo un interessante esempio di arte sacra concepito in modo unitario sotto l’abile regia dell’architetto Giacomo Della Mea. Infatti generalmente nelle chiese si nota un sovrapporsi di opere d’arte databili a diversi periodi, mentre nella chiesa dell’Ospedale di Udine architettura e arredi sacri furono concepiti in pochi anni da artisti non solo amici tra loro, ma che rappresentavano il meglio dell’arte friulana del periodo, come orgogliosamente ricorda ancora lo scultore Giulio Piccini.
          Come ben sottolinea Giuseppe Fornasir, prima che architetto Giacomo Della Mea fu pittore dal 1926 al 1958, anno dell’ultima esposizione “ Cinquant’anni di pittura e Scultura nella carnia e nel Canal del Ferro”, in cui egli fece parte del comitato organizzatore con Max Piccini e Fred Pittino. L’alpinismo e la pittura furono le sue due grandi passioni condivise con il pittore Ernesto Mitri. Come gli architetti Marcello D’Olivo, Cesare Pascoletti, Firmino Toso e Gino Valle, gli esordi di Giacomo della Mea furono dunque in qualità di pittore, già nella Prima Biennale Friulana d’Arte del 1926 dove potè confrontarsi con i migliori artisti friulani. Nel 1928 Giacomo Della Mea presentò un paesaggio montano Contrada Pisimit anche nella Seconda Biennale Friulana d’Arte, insieme allo scultore Max Piccini, che faceva parte della Giuria, a Fred Pittino che espose le sue migliori opere in stile novecento e a Ottorino Aloisio con i suoi progetti per l’Università dello Sport, che tanto lo dovettero impressionare.
          Verosimilmente iniziano in quel periodo i rapporti con gli artisti che egli chiamò per decorare la chiesa dell’Ospedale: particolarmente numerosi sono i dipinti di paesaggi montani esposti da Della Mea nella mostra gemonese del 1931, che lo vede affiancato a Pittino. Nello stesso anno 1931 Giacomo Della Mea è presente con l’olio Paesaggio in Val Fella anche nella Quinta Sindacale d’arte d’Arte dove esposero Ernesto Mitri , Max Piccini, che dipinse uno dei suoi migliori quadri novecentisti, Le Amiche.  La Sindacale del 1937 rinforzò i legami di amicizia e di lavoro tra Ernesto Mitri, Max Piccini, Fred Pittino e Giacomo Della Mea, che presentò “solide pitture” novecentiste di cui Arturo Manzano rileva “il sorprendente progresso”. Nel 1938, assenti per motivi di lavoro e di studio Mitri e Pittino, Della Mea si confrontò con Max Piccini.
          Nel 1939 Giacomo Della Mea si iscrisse alla facoltà di Architettura di Venezia e nel 1940 lo scoppio della seconda guerra mondiale scompaginò la vita degli artisti. Nonostante le difficoltà, i rapporti di amicizia e di collaborazione tra gli artisti, continuano come testimonia una preziosa serie di disegni inediti eseguiti durante la guerra nella Osteria del Vecchio Montenegrino in via Sarpi, dove artisti, critici e giornalisti si riunivano scambiandosi l’un con l’altro i ritratti e gli schizzi. Grazie alla cortesia di Noemi Mitri, intelligente e sensibile custode delle memorie paterne, me ne sono servita per illustrare questa pubblicazione a conferma della amicizia tra Giacomo Della Mea, Ernesto Mitri, Max Piccini e Fred Pittino, che si concretizzò proprio nella decorazione della chiesa dell’ospedale, dove l’architetto chiamò tutti coloro con i quali aveva collaborato. L’unitarietà tra architettura e decorazione quindi si spiega al di là dei meriti stilistici proprio con la loro lunga consuetudine di vita e di amicizia.