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San Pietro al Natisone (UD), 17 Aprile 2009


...una panoramica dall'alto sulla vallata...



 CAMPANE

Santa Messa in ricordo di mons. Pasquale Gujon
e degli altri sacerdoti sloveni della Benecìa
concelebrata dall’Arcivescovo di Udine mons. Pietro Brollo
e dal Vescovo di Capodistria mons. Metod Pirih

La Slavia Friulana ha colto l’occasione del centenario della nascita di mons. Pasquale Guion, per oltre sessant’anni parroco di Montemaggiore/Matajur, per ricordare gli eroici sacerdoti che sotto il fascismo, durante il secondo conflitto mondiale e negli «anni bui» della guerra fredda hanno difeso strenuamente la lingua, la cultura e l’esistenza stessa delle popolazioni loro affidate. Quest’anno, oltre il centenario di mons. Guion (1aprile 2009-25 febbraio 2002), si ricorda anche quello di mons. Angelo Cracina (16 aprile 2009-20 settembre 1992), mons. Zaccaria Succaglia (6 settembre 1909-26 settembre 1978), mons. Valentino Birtig (20 dicembre 1909-13 agosto 1994). Nel programma, venerdì 17 aprile alle 18, nella chiesa parrocchiale di San Pietro al Natisone, una  concelebrazione presieduta dall’arcivescovo di Udine, mons. Pietro Brollo, e dal vescovo di Koper/Capodistria, mons. Metod Pirih. Quindi, alle 19.30 nella sala polifunzionale, proiezione del Dvd su mons. Guion e presentazione del volume che raccoglie testimonianze e soprattutto scritti del «Patriarca del Matajur». Oratori il prefetto di Tolmino, Zdravko Likar, amico del sacerdote, e Giorgio Banchig, profondo conoscitore della storia locale. La celebrazione in memoria di mons. Pasquale Gujon e dei sacerdoti sloveni delle valli del Natisone rappresenta un'occasione per collocare la loro azione pastorale e culturale nel quadro di travagliati avvenimenti storici a partire dagli anni successivi alla Prima guerra mondiale, con l'affermarsi di ideologie nazionalistiche e di forme totalitarie di governo, per arrivare alla Seconda la seconda guerra mondiale e alla lotta di liberazione segnata dai contrasti all'interno stesso della Resistenza sui futuri assetti confinari e, infine, ai difficili anni del secondo dopoguerra, che registrarono una recrudescenza dell'atteggiamento ostile nei confronti dei sacerdoti sloveni.

    

 CANTO D'INIZIO



...benvenuto bilingue di mons. Marino Qualizza...

...estratti dagli interventi dei due vescovi all'omelia...
 

mons. Brollo
 
mons. Pirih


...la prosecuzione della Cerimonia Eucaristica...

 
...accompagnata dal Coro Rečan di Liessa...


...seguita con attenzione dai fedeli, con la presenza di varie autorità...
e di due graziose rappresentanti delle genti dell'altipiano carsico nei loro caratteristici costumi...



...i ringraziamenti del parroco di San Pietro mons. Mario Qualizza...



...e la doppia benedizione...



...prima del canto finale...

RICORDO DEI SACERDOTI SLOVENI
CHE DIFESERO LINGUA E CULTURA DEL LORO POPOLO

     Oggi, a distanza di alcune decenni, si possono leggere quegli avvenimenti con maggiore distacco ed obiettività, una condizione indispensabile perché essi possano diventare parte integrante della storia della Chiesa Udinese e del Friuli intero.
     Anche se queste vicende interessano una parte ristretta della comunità ecclesiale e della società del Friuli, non di meno sono indice, come la punta di in iceberg, della messa in atto su vasta scala di una politica che mirava a cancellare le minoranze linguistiche venute a far parte del Regno d’Italia dopo il 1866 e alla fine della Prima guerra mondiale. Le maggiori manifestazioni di intolleranza si ebbero proprio nella Slavia friulana e nelle regioni abitate da popolazioni slovene e croate del Litorale e dell’Istria.
     Si tratta di una storia fatta di luci e di ombre, di eroismi e di paure, di scelte coraggiose, di opportunismi e di compromessi giustificati con il male minore e con interessi superiori. È un segmento della nostra storia che va letto con lucidità ed equilibrio e ciò può essere fatto grazie alle testimonianze, ai documenti e alle pubblicazioni che oggi offrono gli elementi necessari per discernere i fatti e le circostanze che portarono le persone ad agire in quel modo e ad operare quelle scelte. È questo un passaggio necessario per arrivare alla riconciliazione con il passato, alla condivisione di una storia comune e alla purificazione della memoria. E poiché la storia non è solo accademia e ricerca fine a se stessa, il sacrificio, la testimonianza e l’insegnamento di questi sacerdoti può diventare motivo di proposta operativa nella Chiesa e nella società, di riflessione storica e teologica, in quanto le loro scelte da una parte hanno anticipato il dibattito conciliare sull’uso delle lingue moderne nella liturgia e sul rispetto delle minoranze, dall’altra si sono rifatte ad una secolare tradizione della Chiesa aquileiese di accoglienza e di rispetto delle lingue e delle culture. Non c’è Aquileia senza la ricchezza delle lingue, ma si può affermare pure che le lingue in quest’area geografica non si sarebbero conservate e sviluppate senza Aquileia.
     «Ex hominibus assumptus, pro hominibus constituitur in iis, quae sunt ad Deum» (Hebr 5, 1) – è scelto dagli uomini ed è stabilito per servire a Dio a vantaggio degli uomini –. Può apparire banale citare in questa circostanza il versetto della Lettera agli Ebrei, ma nel caso dei sacerdoti sloveni della Bencia esso si rivela nella sua profondità e nella sua concretezza. Scelti tra gli uomini di queste valli e di queste montagne, presi da povere famiglie contadine, con i calli alle mani, abituati fin da piccoli ad usare gli attrezzi agricoli, a portare sulle spalle legna, fieno, letame, frutta, castagne, a badare alle bestie in stalla, ad essere solidali con gli altri, a scandire la giornata al suono della campana e a chiuderla con il rosario e i canti sacri sloveni; questi uomini presi dai loro paesi, da queste realtà che già allora soffrivano di marginalità e di una politica che nel migliore dei casi le ignorava, questi uomini sono diventati le guide spirituali del loro popolo «per servire a Dio a vantaggio degli uomini» in un cruciale periodo storico, quando tutto era predisposto per dare il colpo di grazia all’identità linguistica di questa comunità, già minacciata da quasi settant’anni di pressioni nazionalistiche.
     Guide spirituali, sacerdoti zelanti, ligi alle direttive pastorali, teologicamente preparati con la serietà che caratterizzava il seminario udinese, filosoficamente formati alla scuola del conterraneo Ivan Trinko, rigoroso tomista, con il quale avevano uno speciale rapporto già dagli anni del seminario; sacerdoti quindi, ma anche gli unici «intellettuali», depositari della cultura del loro popolo, maestri della e nella loro lingua; guida e sicuro punto di riferimento durante le guerre, nei passaggi critici di queste terre che hanno conosciuto profondi cambiamenti e spostamenti di confini.
     Oltre alla fede, allo zelo, alla dedizione a Dio e alla Chiesa, ciò che accomuna queste generazioni di sacerdoti è il loro amore per la lingua slovena, per le tradizioni religiose, per la cultura di questa terra. Questo profondo attaccamento è nato e si è approfondito nelle prove, nelle persecuzioni, negli attacchi subiti, nelle calunnie sopportate e nel conseguente isolamento. Ma si è radicato soprattutto nel rapporto quotidiano con la propria gente, un rapporto immediato che, grazie alla lingua imparata sulle ginocchia della madre, diventava più vero, profondo e fecondo. Con quel «linguaggio barbaro», come veniva definito il dialetto sloveno da certa stampa, essi annunciavano il Vangelo, confessavano, insegnavano il catechismo, consolavano la gente nei momenti tristi o gioivano con essa nei momenti di festa. Una inculturazione della fede, si direbbe oggi, che trae origine e si alimenta attingendo ai misteri dell’Incarnazione e delle Pentecoste.
     È stata lunga questa Via Crucis della lingua slovena e dei sacerdoti della Slavia che si è sviluppata in stazioni dolorose dove gli accusatori e gli aguzzini cambiavano nome, ma non i metodi e la finalità della loro azione che era quella di togliere l’anima, la cultura, la lingua di questo popolo che rappresentava un’anomalia nell’orizzonte piattamente uniforme che si voleva instaurare dal punto di vista linguistico.
     Di questa lunga Via Crucis una delle stazioni più dolorose è stata la proibizione dello sloveno nelle chiese della Slavia nel 1933 da parte del governo fascista. In quel frangente venne teorizzata e resa plasticamente espressiva, ad opera dello scrittore sloveno France Bevk nel romanzo Kaplan Martin čedermac, la figura del «čedermac», del sacerdote coraggioso, difensore dei diritto della propria gente. Pubblicato nel 1938, fu, si direbbe oggi, un «instant book» che denunciò al mondo la situazione venutasi a creare allora in Benecia e immortalò le figure dei sacerdoti delle Valli del Natisone in quel don Martin čedermac, che può essere visto come una personalità corporativa, il prototipo in cui si possono riconoscere i sacerdoti più combattivi delle Valli.
     Nel 1933 furono ordinati sacerdoti i monsignori Pasquale Guion, Valentino Birtig, Angelo Cracina, Zaccaria Succaglia, l’anno seguente don Mario Laurencig; in quell’anno erano in piena attività don Antonio Cuffolo a Lasiz, don Giuseppe Cramaro ad Antro, don Giovanni Guion ad Azzida (zio di don Pasquale), don Pietro Qualizza a Vernasso, don Giuseppe Simiz di Mersino (i cinque del cosiddetto Aventino di Antro), don Antonio Domenis a Drenchia, don Natale Zufferli a Codromaz. Mons. Ivan Trinko era il loro padre spirituale con il quale essi si consigliavano sul modo di comportarsi di fronte ai soprusi dell’autorità civile e l’incomprensione dei superiori.
     Proprio nel 1933 è avvenuto questo incontro, questa saldatura tra le vecchie e le nuove generazioni di čedermaci, il cui messaggio e testimonianza, grazie al lungo arco della vita di mons. Guion, sono arrivati fino all’alba del terzo millennio.

(GIORGIO BANCHIG - LA VITA CATTOLICA SABATO 18 APRILE 2009)

Nella foto: sacerdoti della forania di S. Pietro al Natisone agli anni ‘50 con la loro guida spirituale, mons. Ivan Trinko (al centro col cappello).

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San Pietro al Natisone, 17 Aprile 2009
Santa Messa in ricordo di mons. Pasquale Gujon
e degli altri sacerdoti sloveni della Benecìa
concelebrata dall’Arcivescovo di Udine mons. Pietro Brollo
e dal Vescovo di Capodistria mons. Metod Pirih
accompagnata dal Coro Rečan di Liessa
 

01 2.59 Campane
02 2.12 Canto d'inizio
03 2.47 Benvenuto di mons. Marino Qualizza
04 1.30 Saluto di mons. Pietro Brollo
05 1.21 Canto
06 3.27 Canto
07 1.35 Canto
08 1.07 Canto
09 3.16 Lettura del Vangelo
10 9.18 Omelia di mons. Pietro Brollo
11 4.58 Omelia di mons. Metod Pirih
12 1.33 Preghiere dei fedeli
13 2.20 Canto
14 2.37 Pater Noster
15 1.47 Canto
16 1,27 Canto
17 2.23 Canto
18 2.28 Ringraziamento di don Mario Qualizza
19 1.11 Doppia benedizione
20 1.42 Canto finale

Abbiamo salvato su CD i momenti più importanti della cerimonia,
prima di convertirli in formato mp3 e depositarli nel nostro ampio audio-archivio.
Se ci perverranno delle richieste, avremo motivo per mettere insieme una degna copertina...