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Pordenone, 4 Luglio 2004

Pordenone (PN)
CAP:
33170 - Altitudine (s.l.m.): m. 24 - Abitanti: 48.555 - Superficie: Kmq. 38.23 

Pordenone, come attesta la necropoli recentemente rinvenuta sotto Palazzo Ricchieri, fu abitata prima del Mille. Dal Xll secolo si sviluppò notevolmente l'attività commerciale del porto sul fiume Noncello, da cui il nome della città: Portus Naonis.
La conquista veneziana del 1420 risparmiò soltanto l'asburgica Pordenone e Castelnovo, appartenente al conte di Gorizia, che passò alla Serenissima nel 1508. La città del Noncello fu poi data in feudo al condottiero Bartolomeo d'Alviano; all'estinzione di tale famiglia, nel 1539, l'amministrazione passò a Venezia. Nel 1797, assieme al restante territorio della Repubblica di Venezia, la Destra Tagliamento fu ceduta da Napoleone all'Austria ed austriaca restò - eccetto la breve parentesi del Regno Italico (1806-1813) - fino al 1866 quando fu annessa al Regno d'Italia.
Sin dai primi dell'Ottocento, finiti i traffici portuali, a Pordenone fiorirono molte industrie destinate a segnare profondamente la storia della città, come la ceramica Galvani, il cui prestigioso marchio cessò di esistere solo alcuni anni fa, e i cotonifici che occuparono diverse migliaia di operai.
Nel 1968 Pordenone è diventata capoluogo di una provincia di 51 comuni con circa 270 mila abitanti.

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Duomo Concattedrale di San Marco
Messa in gregoriano
VERBUM RESONANS

DIECI ANNI DI CANTO GREGORIANO IN FRIULI VENEZIA GIULIA

Decennale dei Seminari Internazionali di Canto Gregoriano 1994/2004
Organizzato dall'USCI-FVG

Alcune immagini riprese durante la celebrazione della Messa delle 11,
che era cantata dal coro parrocchiale, e delle 12.15, animata dal coro
"Amici del canto gregoriano" di Trieste

Purtroppo, per seri problemi tecnici alle nostre apparecchiature, non disponiamo di registrazioni audio.

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Pordenone (PN)

Monumenti e opere d'arte
Il Duomo è la chiesa principale di Pordenone e per mole e per le opere d'arte che accoglie. Così come lo si vede, estremamente ripulito dopo i recenti restauri, sottintende appena le lunghe travagliate vicende che ebbe a subire nei secoli.
Eretto poco dopo la metà del Duecento, era già compiuto nel 1278, quando per decreto del vescovo Fulcherio divenne chiesa matrice in luogo di quella del vicino paese di Torre. Subì in seguito profonde modifiche: nel 1719 Domenico Rossi diede inizio all'opera di rimodernamento (proseguita oltre la sua morte) che prevedeva la creazione di un unico vano con sei cappelle laterali, ma che nella realizzazione pratica finì per alterare il programma del geniale ideatore. Rimane incompiuta la facciata, alla quale nell'Ottocento furono addossate quattro tozze colonne.
Della costruzione gotica rimangono all'esterno elementi decorativi che ne perpetuano lo spirito: finestroni murati ma visibili, uno splendido tiburio che risale probabilmente alla fine del Trecento o all'inizio del secolo seguente, in mattone. Rimane il bellissimo campanile, alto 72 metri, ultimato nel 1347, svettante sulla città.
Il portale maggiore, che sembra quasi incorniciato dalle colonne ottocentesche, è opera di Giovanni Antonio Pilacorte, ed è datato 1511. È una delle opere maggiori di questo lapicida lombardo che, accurato nell'esecuzione delle statue poste sull'archivolto (San Marco, protettore della città e titolare della chiesa), ai lati dello stesso (Angeli) e nella lunetta (Cristo) diede libero sfogo alla sua fantasia nella decorazione dell'architrave, dei capitelli e degli stipiti, scolpiti con begli ornati e fogliami e con la simpatica raffigurazione dei segni dello Zodiaco.
All'interno la chiesa si presenta a navata unica, nella quale si aprono profonde cappelle, un transetto e tre absidi; soprattutto alterata rispetto al progetto trecentesco è la zona del transetto di destra. L'acquasantiera del 1508, greve, massiccia, con la coppa intagliata a girali, è del Pilacorte, così come il fonte battesimale (1506) che sulla cupola porta la figurina di S. Giovanni Battista: pregevoli le portelle dipinte (ora in museo) con Storie del Battista (Nascita, Predicazione, Battesimo di Cristo e Banchetto di Erode) recentemente restaurate e credibilmente assegnate a Giovanni Antonio da Pordenone (1534). Di Giuseppe Bernardi Torretti sono le due statue di Angeli (1764) sull'altar maggiore.
Sulla navata destra sono stati recentemente riscoperti affreschi (S. Cristoforo, il Bambino e Santi) del XIV secolo. Molto più interessanti sono quelli, del secondo decennio del Cinquecento, del grande pilastro di destra, prima del transetto: lì, oltre ad una Madonna con Bambino e ad un Sant'Erasmo, è raffigurato uno splendido San Rocco nel quale si è voluto vedere l'autoritratto stesso di Giovanni Antonio da Pordenone; mirabile per l'intensità espressiva, per il gusto ritrattistico che lo informa, per il sapiente uso di un corposo colore, è senza dubbio tra le figure meglio riuscite del maestro. Sul basamento, un graffito datato 1523 ricorda un curioso fatto di cronaca, e cioè che il 2 novembre di tale anno ci fu tale abbondanza di neve che i pordenonesi furono costretti a spalarla dai tetti per evitare che l'eccessivo peso potesse provocare danni.
Altri affreschi si trovano nella Cappella Mantica (all'inizio del transetto a destra) e sono dovuti a Giovanni Maria Zaffoni detto il Calderari, che vi lavorò nel 1554-55, dipingendo Storie della Vergine nelle vele della volta, dell'Infanzia di Cristo nelle lunette; Discesa dello Spirito Santo, Cristo tra i dottori, Ascensione, Cristo in Emmaus, Noli me tangere, Assunzione e Visitazione nelle pareti. Il Calderari si rifà direttamente al Pordenone per quanto riguarda l'invenzione delle scene e la loro organizzazione spaziale; nella sua modestia pittorica riesce tuttavia piacevole per alcuni particolari (si notino, ad esempio, quelli riguardanti la visione ideale di Pordenone, con la Porta del Friuli, con l'alto campanile del Duomo e il ponte sul fiume Noncello).
Nella vicina Cappella dei Santi Pietro e Paolo buoni affreschi da poco rimessi in luce, nella volta (simboli degli Evangelisti, Santi e angeli), nei sottarchi e nelle lunette (vedute architettoniche): sono databili al 1414-1420 circa e vengono attribuiti a Gentile da Fabriano o alla sua scuola (inizi secolo XV). L'abside di destra (nota come Cappella di San Nicolò) fu affrescata, secondo una ipotesi che ha trovato largo credito anche se non è da tutti condivisa, da Dario da Treviso (o da Pordenone) intorno al 1455, quando il pittore, che in gioventù era stato allievo e collaboratore dello Squarcione, già possedeva una ben decisa personalità. Nella volta vediamo i quattro Dottori della Chiesa entro tondi sostenuti da angeli, e nelle pareti Storie di San Nicolò. Il pittore mostra di saper padroneggiare lo spazio e costruisce con una certa proprietà figure e architetture, con uno schematismo un po' ingenuo ma con chiari riferimenti culturali, soprattutto alla decorazione della cappella Ovetari di Padova. Per restare agli affreschi, bisognerà anche ricordare la Resurrezione del 1503 che si trova in sagrestia: firmata G. S., è stata ritenuta la prima opera del Pordenone (Giovanni Sacchiense) all'epoca diciannovenne; ma va attribuita ad ignoto pittore friulano, vicino a Gianfrancesco da Tolmezzo: al quale senza dubbio appartiene una frammentaria Pentecoste a fresco nella cappella absidale (inizio secolo XVI).

Diverse e pregevoli le tele conservate nel Duomo: del Pordenone, oltre alla ridondante pala di S. Marco, nell'altar maggiore (di G. Massari e G. Bernardi Torretti, secolo XVIII), carica di precorrimenti barocchi, iniziata nel 1535 e purtroppo non condotta a termine, c'è la splendida Madonna della Misericordia (1515) che è universalmente ritenuta uno dei capolavori dell'arte veneta e che rappresenta il momento di maggior contatto con la poetica del Giorgione. La composizione, perfettamente equilibrata nel rapporto personaggi-ambiente, smagliante nel colore, reca, sullo sfondo di un veneto paesaggio, al centro la Vergine con il committente ed i suoi familiari inginocchiati ai suoi piedi, a destra l'umanissima e dolce figura di S. Giuseppe, a sinistra quella possente di S. Cristoforo che regge sulle spalle il Bambino.
Due sono i dipinti di Marcello Fogolino (Madonna con Bambino in trono e Santi e S. Francesco con il Battista e il profeta Daniele) entrambi del 1523: composizioni tranquille e dolci, così come il Riposo nella fuga in Egitto di Pomponio Amalteo (1546). Concitata, invece, ma piacevole nella parte architettonica, la pala dell'Istituzione dell'Eucarestia del Calderari, datata al 1547. Inoltre, un S. Girolamo di Domenico Tintoretto (1595 ca.), un dipinto con i Ss. Agostino, Monica e Madonna in gloria di Pietro Vecchia (1672) e un S. Vincenzo Ferreri di Giambettino Cignaroli (1738).

Nel medioevale Palazzo Ricchieri, una delle più belle dimore nobiliari della città, vicino al Duomo, è stato trasferito nel 1970 il Museo Civico d'arte, già nel Palazzo Comunale, sorto nel 1870 allorché il pittore pordenonese Michelangelo Grigoletti lasciò, morendo, la sua raccolta di opere d'arte. Come ogni edificio antico che sia adibito a sede di Museo, anche Palazzo Ricchieri, con la sua bella struttura architettonica, le originarie decorazioni del secolo XV, i soffitti lignei a cassettoni, i fregi a fresco, costituisce un ulteriore motivo di interesse per il visitatore. Il Museo si articola su quattro piani, di cui l'ultimo adibito a deposito delle collezioni non esposte al pubblico, soprattutto relativamente al XX secolo, ma visitabili su richiesta.
Il primo piano è destinato ad ospitare dipinti e altri manufatti prodotti nei secoli XVIII e XIX da artisti veneti e friulani quali, ad esempio, Nicola Grassi, Gaspare Diziani, Bernardino Bison, Odorico Politi, Giuseppe Tominz, per concludere con un'antologica delle opere del pordenonese Michelangelo Grigoletti (1801-1870).
Del pittore infatti il Museo possiede numerosi dipinti e disegni di notevole portata artistica. Un cenno particolare merita il bozzetto per il grande quadro de I due Foscari che il pittore realizzò tra il 1838 ed il 1843 su commissione dell'imperatore Ferdinando I d'Austria (il dipinto è infatti di proprietà del Kunsthistorisches Museum di Vienna). Vi è rappresentato il momento in cui Jacopo Foscari, condannato nel 1451 all'esilio perpetuo nell'isola di Creta perché implicato nell'assassinio di Ermolao Donato, chiede al padre - il doge Francesco Foscari - la grazia. Questa, per motivi politici, viene negata, e ciò provoca lo svenimento della madre dello sventurato giovane.
Il piano secondo è destinato all'arte più antica: particolarmente interessante il Tesoro del Duomo di Pordenone con splendidi reliquiari gotici del XV secolo e la testa reliquiario di San Giacomo "minore", gioiello dell'arte orafa friulana dell'inizio del XIV secolo; ricca anche la sezione sculture, con opere in pietra di Carlo da Carona (secolo XVI) e in legno di Andrea Bellunello (o intagliatore a lui vicino: Madonna con Bambino della fine del XV secolo), Bartolomeo dall'Occhio (S. Nicolò, 1503, statua proveniente dalla chiesa di S. Gregorio a Castel d'Aviano) e Domenico e Giovanni Mioni da Tolmezzo. A Giovanni appartiene il grande altare ligneo dipinto e dorato, proveniente dalla chiesa di S. Maria dei Battuti di Valeriano, acquistato dal Comune di Pordenone una trentina d'anni fa. Nella parte inferiore che porta la Deposizione dalla Croce si può notare la forte carica espressiva dell'intagliatore, che non indulge alla piacevolezza, ma caratterizza le statue, esasperandone i sentimenti in chiave popolare. Nella predella, in bassorilievo, ingenue figurine di Battuti adorano la Trinità. Le statue della parte superiore (Madonna con Bambino e quattro Santi) sembrano doversi attribuire allo scalpello di Domenico da Tolmezzo, padre di Giovanni: in tal caso sono precedenti al resto dell'altare, essendo Domenico morto nel 1507.
Tra i dipinti rinascimentali, da ricordare il gruppo di dipinti di Giovanni Antonio da Pordenone: la pala di S. Gottardo (1525-1526), proveniente dalla soppressa chiesa dei Cappuccini, prima opera - in ordine di tempo - acquistata dal Comune di Pordenone (1811) e le portelle (ca. 1534) con storie di S. Giovanni Battista, già sul fonte battesimale del duomo; una Annunciazione, deliziosa, di Girolamo Savoldo (proviene dalla chiesa di S. Domenico di Castello a Venezia) ed una pala di Gaspare Narvesa (Trinità, Madonna in gloria e Adorazione dell'Eucarestia, 1611) già nella chiesa della Trinità.

Per quanto riguarda l'arte moderna (dipinti di Cadel, Variola, Mosè Bianchi, Vettori, Cargnel, Zuccheri, Pizzinato, Zigaina, ecc.), questa viene esposta in mostre temporanee nella sede di Villa Galvani: in alcune sale adiacenti l'altrio del Museo, si possono però ammirare le grandi tele di Corrado Cagli (1910-1976) eseguite per l'Esposizione Internazionale di Parigi del 1937 e le opere di Pino Casarini (1897-1972) artista veronese particolarmente attivo in Friuli (basti pensare ai vasti cicli decorativi del duomo di Sacile e della parrocchiale di Cordovado), di recente donate al Museo.
Nel quale andranno infine ammirate le collezioni di ceramiche, tessuti antichi e le sculture ottocentesche di Antonio Marsure, valido scultore locale.

Numerosi gli edifici di pregio, a Pordenone. Di fronte al Duomo si trova il bel Palazzo Comunale del XIV secolo che presenta una loggia al piano inferiore, trifore al piano superiore. Il suo corpo aggettante, che costituisce la torre-orologio, risale al 1542 ed è opera di maestro Jacopo da Gemona.
Il Palazzo Comunale chiude come una bella scenografia lo slargo in cui sfocia il lungo Corso Vittorio Emanuele che con il suo andamento sinuoso attraversa il nucleo antico della città. Fiancheggiato da stretti portici (ad archi acuti, a tutto sesto o ribassati) frequentati ad ogni ora del giorno, che assieme alla serie di palazzi gotici, rinascimentali o barocchi, gli assicurano un piacevole aspetto d'altri tempi, il Corso è ancora, come in passato, una vitale arteria di traffico e di commercio. Numerose sono state le modifiche apportate nei secoli a questo tracciato, e ben lo si vede nella presenza di stili e gusti diversi, cosicché, in un certo senso, ogni facciata è una sorpresa o per un arioso balconcino traforato o per severe finestre centinate o per un elegante portale. Tra i palazzi, notevoli sono Palazzo Gregoris, della fine del Seicento, dovuto alla collaborazione di Domenico Rossi e dello zio Giuseppe Sardi che si richiamano al pittoricismo architettonico del Longhena; Casa Mantica, nella quale si conserva un affresco, da poco ritrovato, di Gianfrancesco da Tolmezzo (fine secolo XV); Palazzo Montereale-Mantica (ora, come il precedente, di proprietà della Camera di Commercio), con un importante salone decorato con stucchi dal ticinese Francesco Antonio Re (dopo la metà del secolo XVIII), restituito alla vita e alla cultura di Pordenone da un recente accurato restauro.

Nel cinquecentesco Palazzo Amalteo in via della Motta, è allogato il Museo delle Scienze, in cui è esposto anche materiale preistorico ed archeologico, tra cui i lacerti di affreschi romani provenienti da Torre.

Da vedere anche la Biblioteca Comunale (già Monte di Pietà) progettata probabilmente da Francesco Riccati (i preventivi furono peraltro stesi dal capomastro Giovanni Battista Cajal che nel 1765 condusse i lavori) ed il neoclassico Teatro della Concordia dell'architetto pordenonese Giovanni Battista Bassi (il progetto risale al 1826).

Tra le chiese minori, da ricordare la Chiesa del Cristo, con un bel portale di scuola del Pilacorte (1510) ed affreschi trecenteschi (molto guasti) all'interno; la Santissima Trinità, appena al di là del fiume Noncello, edificio cinquecentesco dalla struttura massiccia, costruito interamente in cotto su progetto di Ippolito Marone e abbellito all'interno dagli affreschi (ca. 1540-45) del Calderari e di altri pittori minori dell'epoca; la Chiesa di S. Francesco, trecentesca, con brani d'affresco coevi, da qualche tempo adibita a sede di mostre d'arte; la Chiesa di S. Giorgio (facciata neoclassica e campanile di Giovanni Battista Bassi, secolo XIX) contenente una tela attribuita a Gasparo Narvesa con S. Giorgio che uccide il drago (secolo XVII); la chiesa del Beato Odorico da Pordenone, recente architettura di Mario Botta.

Presso il Centro di Attività Pastorali, in via Revedole 1, progettato dall'arch. Othmar Barth (1988), hanno sede l'Archivio Storico della Diocesi di Concordia-Pordenone, che conserva preziosi documenti a partire dal 1190 (pergamena del vescovo Romolo), la Biblioteca del Seminario Diocesano, con più di 130.000 volumi, ed il Museo Diocesano d'Arte Sacra, aperto ufficialmente al pubblico nel 1995.
Diviso per sezioni in via di completamento, comprende affreschi e sinopie (documento dei vasti cicli di pittura parietale un tempo decoranti l'interno delle chiese), statue (lignee, in pietra e marmo), dipinti (su tela e tavola), disegni, stampe, arredi (argenti e metalli), tessuti: tutta la gamma in cui lungo i secoli ha trovato espressione il sacro, il quale resta l'elemento assolutamente caratterizzante, nel senso che l'attenzione viene per prima rivolta al manufatto quale segno di fede e di pietà.

La particolare natura del Museo ha indotto a seguire un duplice ordinamento: per materia (disposta cronologicamente) e per destinazione, facendo spazio alle testimonianze della pratica sacramentale e della devozionalità.
Nella composizione di quadreria, statuaria, suppellettile e arredo vario dal VII secolo all'età contemporanea, frutto di artisti di varia levatura (dagli scultori Carlo da Carona, Alvise Casella e Orazio Marinali, ai pittori Pomponio Amalteo, Francesco Guardi, Michelangelo Grigoletti oltre ai cultori moderni e contemporanei del genere), si è cercato di privilegiare gli attestati di provenienza locale, ricorrendo alle aree geografiche contermini allo scopo di colmare evidenti lacune. Risultato di antichi depositi, di donazioni o di semplice affidamento in custodia, il Museo vede le proprie collezioni allestite in modo elegante e fantasioso.

Nei dintorni di Pordenone, Torre, preesistente allo stesso capoluogo ed anzi sicuramente abitata fin dall'epoca romana, si raccomanda sia per la bella pala d'altare (Madonna con Bambino e santi) che il Pordenone dipinse nel 1520 e che si trova nella Parrocchiale, sia per l'imponente Castello che sorge su un leggero rilievo su un'ansa del fiume Noncello, in una zona ricca di risorgive. Privo di ogni muro di cinta, il castello non si offre nella consueta tipologia, trattandosi di un complesso di elementi diversi, appartenenti a tutte le epoche, addossati al massiccio torrione originario a tre piani che fu la matrice principale. Presso il castello sono emerse tracce di presenze di epoca romana. Notizie scritte si hanno a partire dal secolo XIII; nel 1313 vi si insediò il Conte di Gorizia avendo la meglio sul Patriarca, ma anche'egli fu in seguito cacciato dai signori di Porcia. Nel 1391, in seguito a permute con il conte di Moravia, divenne proprietà dei conti di Ragogna e nel 1402 subì distruzione ad opera dei pordenonesi. Sul finire del Cinquecento non esisteva ormai che la sola torre, per cui i corpi più bassi ad essa addossati appartengono tutti a secoli successivi. Di essi, quello a nord diventerà sperabilmente sede del Museo archeologico del Friuli occidentale, ed in esso troverà degna collocazione quell'ingente materiale archeologico (tra cui alcuni lacerti di affreschi romani) raccolto nel corso di un'intera vita dall'ex proprietario conte Giuseppe di Ragogna e da lui generosamente lasciato in eredità al Friuli.

Nella frazione di Villanova, nella Parrocchiale vi è un buon ciclo di affreschi con robusti Dottori della Chiesa di Giovanni Antonio da Pordenone (1514), oltre ad un gradevole altare in pietra del Pilacorte (1520).

A Vallenoncello, nella Chiesa parrocchiale, affresco con l'Adorazione dei pastori del 1530 circa (Giovanni Maria Zaffoni detto il Calderari); nell'Oratorio del SS. Corpo di Cristo, nell'imbotte del piccolo coro, Padre Eterno benedicente e Dottori della Chiesa a fresco, buon lavoro di maestro friulano del XV secolo; nelle pareti, modesti dipinti della fine del XV secolo. Nella Chiesa neogotica di Roraigrande (progettata da Domenico Rupolo agli inizi del secolo), bel fonte battesimale con un incantevole gruppo di putti del 1558-59, lavoro dei lapicidi Donato e Alvise Casella; nel vecchio coro - ora cappella laterale destra - affreschi nelle quattro vele (Episodi della vita della Vergine) eseguiti da Giovanni Antonio da Pordenone (1516) e Marcello Fogolino (1521).

 Informazioni tratte da: 
 GUIDA ARTISTICA DEL FRIULI VENEZIA GIULIA 
(
a cura di Giuseppe Bergamini )
dell'Associazione fra le Pro Loco del Friuli-Venezia Giulia
http://www.prolocoregionefvg.org