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San Marco (Mereto di Tomba), 25 Aprile 2004

Festa del Patrono ed in onore di don Adriano Menazzi
che da 50 guida la parrocchia di San Marco

San Marc
(Pre Fabio Simonutti - 1885)

Il to grup di trente ciasis
tra la Tōr e il Tajament
Tra la mont e la marine
mi sta simpri fģs in ment.
 

Jč une vile pizzinine
che no vāl un carantąn
pur che vile in te planure
val par me plui di Miląn.
 


 CAMPANE

Testi tratti dal libro "50 anni a San Marco"

I 100 ANNI DELLA NOSTRA CHIESA
     C'č un nome che identifica la nostra persona; c'č pure un nome che definisce ogni paese che viene perņ, in genere, caratterizzato dalla sua Chiesa e dal campanile.
     Noi che abbiamo il privilegio di essere l'unico paese del Friuli che trae il nome dall'evangelista San Marco, abbiamo anche il privilegio di avere una Chiesa a Lui dedicata, definita vero gioiello d'arte. Per ricordarne l'inaugurazione, cento anni fa, nel 1902, fu pubblicato un libro, scritto dal critico d'arte Giovanni Del Puppo, per illustrarne le bellezze dell'opera voluta da pre Fabio Simonutti, cappellano qui nel suo paese natio, che ha profuso tutte le sue sostanze per realizzare questo sogno.
     Quel libro noi lo abbiamo ristampato nel 1991, dotandolo di un sussidio fotografico davvero stupendo.

     Nella presentazione, l'autore di allora tra l'altro afferma: "Fino a pochi anni or sono, quella chiesuola nulla presentava che la togliesse dal comune. Pari a tante altre congeneri che sorgono ancora, o vecchie o rovinose, o vandalicamente imbiancate in tanti villaggi del Friuli: ne la sua mole, ne la sua architettura attraevano lo sguardo o destavano qualche interessamento.
Ma accadde un giorno che, a cappellano di San Marco, fosse eletto un prete dei Simonutti.
     Fu l'amore del natio loco a cui lo riconduceva lieto la sua missione, o fu l'istinto geniale che, sotto l'abito talare, faceva palpitare un'anima d'artista, o furono entrambe queste gentili virtł che nel cuore del modesto cappellano, fecero nascere, vivo ed acuto, il desiderio di fare della sua Chiesa un gioiello di grazia, di bellezza e di splendore.
     Dov'era, che cosa era San Marco se non un villagetto di poche case, solitario e dimenticato in mezzo alla pianura friulana?
     Per anni parecchi, il sogno luminoso di don Fabio Simonutti fu l'abbellimento della sua Chiesa e come a quel sogno si volsero costanti il pensiero e il desiderio, cosģ pure tenacemente vi fissņ
la volontą. Circondato da una schiera di artefici scelti fra i migliori che onorino il nostro Friuli dimenticato, egli diede mano all'opera con entusiasmo giovanile, con fede serena nella riuscita, con audacia pronta a superare qualsiasi ostacolo avesse ad attraversargli il cammino.
Ed oggi, nella letizia dell'animo a cui sorride la soddisfazione dell'opera compiuta, don Fabio Simonutti offre il dono, con la sua chiesa, non al suo paese soltanto, ma alla piccola "Patria" e forse anche alla grande patria comune, un gioiello di grazia, di bellezza, di splendore".
     Cosģ venne presentata la Chiesa che onora il nostro paese, che vuole ora ricordare, a cento anni dalla ristrutturazione, l'opera che si spalanca qui, davanti ai nostri occhi ammirati, legata al nome di pre Fabio, la cui memoria resta in benedizione.


Questa č la vostra chiesa!
     Queste quattro mura hanno accolto l'anelito, le speranze, le gioie ed i dolori dei fedeli che hanno convintamente frequentato questo luogo sacro.
La gioia delle funzioni solenni dell'anno liturgico; nelle feste del Patrono, della Madonna del Rosario, delle Domeniche ordinarie e dei suggestivi momenti che hanno segnato il nascere ed il crescere delle persone.
     Nelle festivitą dei Battesimi, delle Prime Comunioni, delle Cresime con la presenza del Vescovo e dei Matrimoni che hanno segnato il formarsi di tante famiglie cristiane, con promessa di fedeltą, ripetuta con trepidazione, davanti a questo altare. In questo luogo sacro sono passate, per un saluto di suffragio e di commiato, le spoglie mortali di tante persone, circondate dal rimpianto e dalle lacrime dei loro cari.
     Mille e mille preghiere sono state espresse per chiedere grazie, alimentare speranze, placare angosce, affidando i segreti dell'anima, al mistero di Dio e della Vergine Santa, qui tanto amata ed invocata.

Questa č la mia chiesa!
     Dei cento anni di cui č protagonista, per 38 l’ha goduta, con passione impareggiabile, l'ideatore pre Fabio; per 12 anni il mio predecessore don Giuseppe Fasiolo che fu anche il primo Parroco (1941), mentre prima San Marco dipendeva come cappellania da Tomba. Infine, per ben 48 anni, quasi mezzo secolo, io stesso, che nel lontano 1954, con il giovanile entusiasmo dei miei 28 anni, ho raccolto questa ereditą, per incarnarmi in questa comunitą, divenuta per me famiglia, anima della mia anima, facendo di questa Chiesa, con voi e per voi il cuore vivo e palpitante di forte spiritualitą.
     Da questa Chiesa la Rai (Radiotelevisione Italiana), il 6 Agosto 1972, ha trasmesso, a raggio nazionale, la Messa domenicale come prologo al Congresso Eucaristico Nazionale che si tenne a Udine nel settembre di quell'anno, con la partecipazione del Papa Paolo Sesto.
     Qui ci sono stati offerti messaggi dal carisma di persone privilegiate. Qui č passata pił volte la stigmatizzata udinese Raffaella Lionetti; qui ha celebrato il sacerdote don Carlo Mondin che vive la Messa come espressione visibile della passione.

     Protagonista di un'apparizione della Madonna, qui č passato il pił giovane veggente di Medjugorje: lacov. Qui don Stefano Gobbi ha fatto pił volte tappa di preghiera e di riposo dopo l'assiduo peregrinare per le vie del mondo come apostolo privilegiato della Madonna.
     In questa Chiesa, da anni, si celebra ogni giovedģ un cenacolo mariano che ha richiamato e richiama tuttora l'afflusso di tante persone che credono nel valore della preghiera, trasformando questo posto in un piccolo santuario.
     Purtroppo molti parrocchiani sono rimasti estranei a questo flusso di grazie; stanno abbandonando la Chiesa, cedendo alle lusinghe di un presuntuoso benessere, che sta soffocando la pratica religiosa.
     Qui, oggi, chiedo a tutti un sussulto di risveglio, di impegno e di propositi, perché non subentri, dopo di me, ultimo sacerdote presente in questa parrocchia, una minacciata desertificazione dello spirito, che peserebbe, come motivo di responsabilitą, su questa parrocchia tanto privilegiata dal Signore.
     Cento anni di vita! Cento anni di grazie! Cento anni di storia per questa Chiesa. Il ricordo non č legato alle pietre che la compongono; tutto č demandato alla sensibilitą e alla disponibilitą dei nostri cuori.

 preghiere canti e suoni

                                       

 
 I numerosi fedeli presenti alla Santa Messa, animata dal Coro di Plasencis

MIA GENTE!
    
"Gesł, Maria, vi amo!", questa č la giaculatoria che preferisco e che mi č caro ripetere spesso, con forte coinvolgimento interiore. Due nomi questi, che mi richiamano una presenza viva, che orienta la mia vita nelle scelte di fede.
     Questo legame spirituale l'ho partecipato a voi, nelle due lettere, a Gesł e Maria, che ho voluto scrivere e leggere poi alla comunitą in occasione dell'anno giubilare.
     Per completare il cerchio degli affetti a cui sono legato interiormente, manca ancora l'ultimo interlocutore. E qui entra con forza il rapporto con voi, mia gente, che, per mia scelta, costituite in assoluto, la realtą tangibile della mia famiglia, con la quale condivido da ben 50 anni, gioie e dolori, fatiche e speranze, legate ormai a cinque generazioni.
     Sono vive solo nel ricordo, le persone pił anziane, trovate qui al mio arrivo nel 1954 e che avevano radici di nascita, nel lontano 1800. Sono solamente quattro le donne che hanno superato i 90 anni, come seconda generazione di riferimento e come memoria storica, ancora presenti nella comunitą. Segue poi la categoria dei nonni, persone che al mio arrivo qui, ho trovato giovani come me, spartendo con loro la vigoria degli anni e del mio entusiasmo, tradotto in intensitą di impegno spirituale e materiale che ora, con i tempi radicalmente cambiati, si fa nostalgia e rimpianto.
     Possiamo guardare a loro come alla generazione che ha costituito la chiave di passaggio tra il vecchio e il nuovo; tra la tramontata civiltą contadina e la modernitą che avanzava con la meccanizzazione dell'agricoltura, con le automobili e con l'invasione degli elettrodomestici che venivano man mano arricchendo le case.
Questa esplosione del nuovo, ha messo in crisi vecchie tradizioni, parametri di vita religiosa che facevano della Chiesa, luogo di socializzazione convalidato dalla presenza del sacerdote come elemento di identificazione fra paese e parrocchia.
In quel contesto Chiesa e campanile erano considerati come punto di riferimento ideale per i presenti ed amato motivo di aggancio al paese, per le donne sposate altrove e soprattutto per gli emigranti, costretti a rompere il piccolo cerchio familiare, per cercare occasioni di lavoro stagionale o definitivo, in varie parti del mondo.
     Testimone del cambiamento, come dicevo, č la generazione che ora cammina ancora con me e come me, sospesa tra il vecchio, vivo nel ricordo, ed il nuovo che irrompe con prepotenza, vissuto invece in pienezza di accettazione, da quelli che costituiscono la quarta generazione, quella delle persone che io qui ho fatto crescere nella fede, che ritengo come figli spirituali e che ora sono genitori, protagonisti di un presente gią prestigioso, ma ancora aperto a realtą ed a prospettive impensabili, che fanno del "computer" un punto di riferimento "virtuale" che sta trasformando il mondo in una specie di villaggio globale.
     E stanno crescendo i rampolli della quinta generazione, ragazzi e giovani, che cammineranno, inoltrandosi nel nuovo secolo, mentre con noi anziani, morirą il ricordo del passato.
     Loro costituiranno un giorno la mente direttiva di nuove ed originali imprese, mentre la manovalanza ordinaria, verrą relegata alle persone del terzo mondo, agli emigranti, che affluiranno qui da noi, sempre pił numerosi, ansiosi di sedersi alla tavola opulenta della nostra societą del benessere, innestando una babele di lingue e di religioni che approderanno a forti tensioni prima che, in tempi lunghi, tutto poi si appiani con assestamenti che cambieranno il volto dei nostri paesi.
     Non puņ che essere difficile per me soprattutto questo ultimo tratto di cammino, sospinto da sollecitazioni che ormai non sono in grado di recepire, legato a ricordi inutili sprecati nel giudizio dei giovani che non possono capire questa difficoltą di aggiornamento.
     Diventa cosģ, gią oggi, patetica la presenza di un sacerdote anziano (78 anni) che sa di chiudere definitivamente la serie dei pastori che, per secoli, lo hanno preceduto, al servizio di questa nostra piccola comunitą.
La tentazione del rimpianto č forte ed č altrettanto viva, quella di mettermi ormai da parte come persona inutile e sorpassata.
     Le radici poste qui in mezzo secolo, mi rendono incapace di vedermi altrove se non per esigenze determinate da motivi di salute. Conviene allora che io mi rimetta serenamente alla volontą del Signore ed alla comprensione di quanti sanno ancora apprezzare il valore di una presenza valida per un richiamo di fede. Con povertą di parola e di esempio, ho sempre richiamato a tutti il dovere, come credenti, di mettere Dio al primo posto, ogni giorno della nostra vita! Mia gente, mia comunitą, mia famiglia, restiamo fedeli al Signore e alle sue proposte legate al Vangelo. Lui solo, ricordiamolo, č "Via, veritą e vita". Lui solo, siamone convinti, ha per noi "Parole di vita eterna!"
     L'usura dei tempi che viviamo, ha tolto al sacerdote ogni ruolo di autoritą; resta perņ sempre valida la forza dell'amore. Per questo nulla e nessuno potrą mai proibirmi di volervi bene.

SAC. ADRIANO MENAZZI
Nato a Terenzano il 22/09/1925
Ordinato sacerdote nel 1949.
Vicario, poi parroco di Ligosullo fino al Marzo 1954.
Dal 4 Aprile 1954, parroco a San Marco.
Dal 1992, parroco "In solidum" di Tomba.
Dal 2001, parroco "In solidum" di Plasencis.
Parroco "moderatore" di Tomba e Plasencis,
il sac. Giovanni Boz (Mereto di Tomba)
In 50 anni di presenza a San Marco
ha amministrato 201 Battesimi
celebrato 110 Matrimoni
e 242 Funerali.

 
Dalla chiesa all''asilo, dove sarebbero proseguiti i festeggiamenti,
don Adriano ha usato un mezzo di locomozione simile a quello
che lo ha portato a San Marco nel lontano 1954.

Une vite a San Marc
(di pre Antoni Beline – La Vita Cattolica del 24 Aprile 2004)

     Cu la delicatece di simpri, pre Adriano Menazzi al a volūt partecipami un traguart impuartant: Lis gnocis d'aur cu la so comunitāt di San Marc di Merźt. Une esperience rare e une furtune par lui e pal paīs, s'al č vźr che plui timp si passe insieme e plui si cres in profonditāt e veretāt.
     Cuintri de tendence, o de santescugne di vuź, che ti limite tal timp e ti da la responsabilitāt di plui paīs, jo o soi par une pastorāl monogamiche e indissolubile. Si trate duncje di cjatā fūr predis, o di bati stradis gnovis par fāju. Ma chest al č un altri discors.
     Pre Adriano, nassūt a Terenzan dal 1925, al a scomencade la so cariere a Liussūl, tč cove lassade di pre Madeo Cusina, promovūt a San Martin di Rualp e Val e gno antecessōr.
     In chei pōcs agns, une sorte di Blitzkrieg, al a vūt mūt di fasi benvolź e al a cjatāt il flāt di fa un public contraditori, lui om spirtuāl, cuintri i socialiscj di Trep. A jerin i agns de militance tes schiriis de Democrazie cristiane. Lassł al a cognossūt e frecuentāt ancje il siōr santul pre Luigj Zuliani, model di pastōr restāt par 53 agns a Ēurēuvint.
     A San Marc al č rivāt ai 4 di avrīl da 1954, in plen An Marian, e par lui nol podeve jessi un segnāl plui propizi e sflandarōs.
     Li al ą dāt dut, cuntune fedeltāt esemplār a la definizion canoniche dal predi di "homo Dei", salt "te premere e tal predicjā la per aule" (At 6,4). Dongje de passion de glesie, simpri in funzion cun messis, gjespui, adorazions, cenacui e devozions di ogni sorte, la passion pe Madone.
Insieme cu la Madone l'afiet par sō mari, che e a cjapāt ancje la part dal pari, muart a 28 agns. Po la passion pes rósis e pes robis bielis e pes besteutis.
     Intant il timp al č svualāt, il mont al č gambiāt di fonde fūr e dome pre Adrian al č restāt edentic, zontant a la gracie esteriōr dai 30 agns la bielece interiōr, ch'e ven cu la maturitāt.
Tal numar unic butāt fūr pe ocasion des gnocis d'aur cu la so comunitāt, al a sielte une fotografie emblematiche: al alce il cjalic pe consacrazion, cui vōi sierąts in adorazion. L'om dal ministeri e dal misteri.
     Leint lis pagjinis poetichis e afetuosis dal so scrit, mi a parüt di sintī un fregul di delusion par une glesie che si sta svueidant e pes gnovis gjenerazions che a passin dretis.
     Plui che la cjante di Simeon culo so «Nunc dimittis», sbroc content di un che al a lavorā ben e al ą finide la so zornade, o ai sintūt aiar di «De profundis» par un templi che nol č plui il cūr dal paīs e par un predi che si cjate cence lavōr e cu la sensazion di vź lavorāt dibant.
     Se o pues permetimi une peraule, i disarčs al plevan di San Marc che ogni vite e je butade vie, come ogni semence, ma chest al fās part dal plan di Diu.
     Une vite coerente e ą simpri il so valōr, al di lą dai risultāts, che no ju cognossin. Che la fin dal templi no je dal dut negative, dal moment che la religjon e ą di peāsi plui a la vite che a la glesie.
Nol č just ne serio misura la moralitāt e la santitāt di un paīs dal numar de int tai bancs.
     Ma se propit propit al sint chest sens di frustrazion, invezit di resta dibessōl framieē des maseriis spirtuāls dal templi, ch'ai fasi come Ezechiel.
     Ch'al compagni i siei fīs e i fīs dai siei fīs in Babilonie, par vivi cun lōr il timp de diaspore e la sperance tal gnūf Pastōr dai pastōrs e tal gnūf templi, chel de glorie dal Signōr, cence mūrs e cu l'aghe de vite.